Opinioni & Commenti

Chiesa e territorio, officina di umanità

di Franco Vaccari

Anni fa, nel riordino delle diocesi italiane, il disegno di far coincidere la territorialità ecclesiastica con quella civile si dovette arrendere più di una volta alle molte comunità locali che non accettarono ritocchi a tavolino delle carte geografiche. Appartenenze forgiate in tempi antichi, sentite attualissime, tornarono alla ribalta, modificando non poco un legittimo progetto di razionalizzazione. In quei dibattiti si riaffacciarono persone che da anni non entravano in chiesa e le stesse autorità civili, non di rado, si proposero come mediatrici di ricorrenti conflitti.

Fatti irrilevanti – si potrà dire – che forse non avranno la dignità dei manuali di storia, ma interessanti per chi volesse comprendere qualcosa di quello straordinario intreccio tra Chiesa e territorio, sedimentato nei secoli. Intreccio che si può cogliere bene sia nel versante civile che in quello ecclesiale e che ben si materializza nei profili delle nostre città toscane in cui la torre civica e il campanile si toccano, si guardano, si fronteggiano sulla cima dei colli su cui poggiano. Se le Dolomiti sono riconosciute patrimonio dell’umanità, non potrebbero esserlo di meno la Torre del Mangia o il Campanile di Giotto: chi lo vede e ne gode, vive un’armonia e una bellezza che non è parziale, ma generale, che non si spiega in un’appartenenza, ma rinvia all’universale.

Sono manifestazioni la cui ispirazione cristiana è tanto evidente quanto l’approdo: un fatto culturale a disposizione di tutti che rivela e presuppone un’antropologia. È un territorio, la Toscana, che con i suoi geni e i suoi santi ha prodotto una officina humanitatis unica nella storia, capace insieme di una caratterizzazione locale e di un’apertura universale. L’Umanesimo e il Rinascimento non sono stati esportati, ma hanno ispirato e improntato, valorizzandoli, luoghi diversi. Ne sono scaturiti dialoghi fecondi: dall’ambito giuridico a quello istituzionale o sociale. È il dialogo dell’evangelizzazione e dell’inculturazione che si stabilisce sul registro culturale, presupposto di una buona politica. La cultura, infatti, è il terreno e la politica ne è il frutto. Singole persone e comunità negli ultimi decenni hanno fatto avanzare questo progetto culturale che, attualmente sbiadito, attende di essere proseguito, rilanciato e innestato in una visione politica.

Ci sono tutti gli ingredienti per un laboratorio che porti a maturazione quel modello di reciproca fecondazione tra cristiani e territorio, tra una chiesa articolata e dinamica e le risorse di una terra ricca e diversificata. Un laboratorio lungimirante nelle prospettive, forte nel senso di responsabilità, noncurante della perversa dinamica che misura il giusto sul consenso immediato. Come l’Umanesimo, occorre un laboratorio di grande respiro, che non viva di nostalgia, di celebrazioni o di paura, ma che faccia proprio un grande compito di civiltà, fondato su un’antropologia autentica e vincente: accogliere la vita umana da quella cresciuta nelle acque materne a quella sopravvissuta alle acque del Mediterraneo.

In un’intima vicinanza quotidiana, percorrendo insieme le strade del dubbio, della preoccupazione e della speranza, potremo far crescere una nuova cultura, amica dell’uomo. Non c’è nemico se non la volontà di zittire o blandire il Vangelo. Ma questa viene dal cuore, dove – ahimè! – siamo tutti uguali.

Grosseto e il Sinodo