Opinioni & Commenti

Come vivere in una società multietnica? La lezione dell’Abbé Pierre

Personalmente, nella ricorrenza dei dieci anni dalla scomparsa dell’Abbé Pierre, fondatore del Movimento Emmaus presente con 350 gruppi in 42 Paesi del mondo, mi vengono spontanee alcune considerazioni. Anche all’interno dello stesso Paese, i vari gruppi vivono una realtà diversa tra loro così come nella stessa Comunità Emmaus le differenze sono talvolta molto forti, sia come ceto sociale che come cultura, religione, esperienza di vita. Certo, i problemi non mancano, di ogni specie. Ma se riusciamo ad armonizzare bene le differenze esistenti, veramente le diversità si trasformano in ricchezza, i problemi diventano valori, e i benefici per la singola comunità e per tutto il Movimento (e non solo), sono evidenti e molto positivi. Lo stesso dovrebbe avvenire per quanto riguarda la presenza nei nostri Paesi di persone appartenenti a diverse culture, razze e religioni; presenza determinata da ragioni le più svariate. L’Abbé Pierre lo ricordava spesso: «Molti di questi nostri fratelli sono qui per sfuggire alla persecuzione, alle guerre, alle dittature, allo sfruttamento, alle malattie endemiche, alla miseria e alla fame da cui, lo sappiamo bene, ne derivano autentici nuovi e vecchi olocausti…».

Questi nostri fratelli che vivono nei paesi impoveriti dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina – diceva l’Abbé Pierre, sanno che in Europa, in America del Nord si vive diversamente, addirittura si distruggono tonnellate e tonnellate di alimenti per salvaguardarne il valore di mercato. Che faremmo noi al posto loro? Che hanno fatto, del resto, i nostri nonni in passato?».

D’altro canto, tutti sappiamo che nella nostra società europea, pur in presenza di tante situazioni di miseria e di disoccupazione, ci sono diversi tipi di lavoro che gli europei rifiutano, perché pesanti, poco gratificanti o altro. In questa situazione, bisogna essere onesti e riconoscere che un buon numero d’immigrati ci fa comodo.

«Comunque sia – diceva l’Abbé Pierre – occorre essere coscienti che non abbiamo via di scampo: siamo condannati a vivere una società multietnica, multiculturale e multi religiosa. E bisogna che ci formiamo a capire e ad accettare che ogni etnia, ogni cultura ed anche ogni religione non è “il tutto”, bensì semplicemente un “frammento”. E solo se saremo capaci di mettere insieme, in modo complementare e armonico, tutti i singoli frammenti, potremo avere la stupenda realtà di un “tutto” che ci farà gustare i benefici della solidarietà planetaria che renderà migliore la qualità della nostra vita. Per tutti e per ciascuno».

Infine, vorrei fare un’ulteriore considerazione, per convincerci, come credenti o anche solo come «umani», a cercare di capire e di far capire il dovere dell’accoglienza e della solidarietà planetaria. Di solito, chi dà fastidio, chi crea problemi di accoglienza e di rispetto, non sono i «diversi», i «neri» o i «gialli» in quanto tali. Certo che no! «Infatti – sempre seguendo le parole e le azioni dell’Abbé Pierre – se abbiamo la fortuna di conoscere africani, cinesi, bengalesi, jugoslavi che occupano posti importanti nella società, ne siamo ben orgogliosi, li sentiamo volentieri nostri fratelli… Applaudiamo con passione nei nostri stadi i goal segnati dagli “stranieri” che militano nella nostra squadra del cuore (anche se hanno il passaporto falso…). A darci noia, a crearci problemi e difficoltà è invece tutta la moltitudine di “poveracci” che chiedono pane, lavoro, casa… cioè rispetto dei loro diritti fondamentali di Persone umane. La massiccia, inarrestabile presenza in mezzo a noi di tanti diversi è l’occasione più forte per verificare la credibilità della nostra fede o anche della nostra stessa umanità. Accogliere, condividere valori e diversità di tutti per una società veramente nuova, giusta, solidale ed autenticamente umana, oppure perpetuare la legge della giungla, la legge del più forte, del più ricco, del più potente in cui nessuno sarà pienamente felice. A ciascuno di noi, nei fatti, di fare la propria scelta, affinché veramente la Terra appartenga, finalmente, agli Umani».

A dieci anni dalla «partenza» dell’Abbé Pierre, penso giovi ricordarlo nelle sue «azioni» a volte inquietanti, nelle sue parole che spesso creavano problemi. Era il suo carattere, il carattere che ha lasciato in eredità agli amici del suo Movimento: «Dire cose che non si dicono; fare cose che non si fanno». Anche oggi, nel suo ricordo, il Movimento Emmaus si impegna ad essergli fedele, ed invita tutti a fare e dire altrettanto. E perché accada tutto questo, sente il dovere di ricordarlo, oggi, a tutti.