Vita Chiesa

CONGRESSO EUCARISTICO AD ANCONA, MESSA DI APERTURA CON I VOLONTARI

Sono in 700, vengono da tutta Italia. Indossano magliette rosse, hanno dai 17 anni in su e grandi sorrisi da regalare. Di solito, sono “dietro le quinte”, ma oggi sono loro – i volontari ecclesiali e della protezione civile – i protagonisti della messa di apertura del XXV Congresso eucaristico nazionale, che ha scelto di partire dalla splendida cattedrale romanica di Ancona, a picco sul mare, per la celebrazione eucaristica della prima giornata. Sotto, a dominare il panorama, ci sono le grandi vele del palco che accoglierà l’11 settembre il Papa, nell’area della Fincantieri, e l’impressione, da qui, è che l’inizio e la fine dell’avventura del Cen siano già visivamente presenti, e idealmente legati da un “filo rosso”: quello dei pellegrini che si stanno radunando ad Ancona per vivere un’esperienza di fede “semplice”, perché legata al cuore della fede cristiana, l’Eucaristia, vissuta nella ferialità del quotidiano, come recita il tema dell’incontro. “Vedere il Congresso da un’altra angolatura”: così Eleonora Gioia, 24 anni, ci racconta il senso della sua scelta di fare la volontaria al Cen. “Lo spirito di servizio, l’accoglienza – prosegue – hanno fatto da motore, e qui abbiamo trovato una città animata da uno spirito sincero di apertura e condivisione”. Si sono preparati per mesi, i volontari, perché “tutto potesse essere a punto nell’Eucaristia vissuta”, come ha detto il vescovo di Ancona, mons. Edoardo Menichelli, rivolgendo loro un “grazie di cuore” all’inizio della messa, celebrata da mons. Adriano Caprioli, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla e presidente del Comitato Cei per i Congressi eucaristici nazionali. Nelle ultime settimane, è nato anche un altro bel segno del Congresso eucaristico: i 40 direttori dei Cori delle cinque diocesi della metropolia (Ancona-Osimo, Fabriano-Matelica, Senigallia, Loreto, Jesi) si sono uniti per formare un Coro che animerà tutte le celebrazioni del Cen, a partire dall’apertura di oggi. “Ci voleva per una buona partenza”. Con questa battuta mons. Caprioli ha cominciato l’omelia. “Per voi – ha detto rivolgendosi ai volontari – ogni giornata del Congresso comincerà molto presto, perché bisogna mettersi a servizio dei fratelli. Tutti chiederanno molto, e vi faranno sentire lungo la giornata più dalla parte di Marta. Ma questa prima giornata e in particolare questa prima messa alla partenza del cammino congressuale è per voi, per ciascuno di voi. Voi siete gli operai della prima ora chiamati a lavorare nella vigna del Signore”.“Il nomadismo è in crescita nel mondo”, ma ci sono “diversi modi di mettersi in cammino”, ha osservato il vescovo. C’è il cammino del turista, ad esempio verso paesi esotici. “Nulla da obiettare”, ha commentato mons. Caprioli, però “non sono i chilometri che contano, ma la vivacità interiore. Se uno si lascia passivamente portare dall’organizzazione, può andare in capo al mondo, senza aver fatto un passo fuori dal suo piccolo mondo”. Ci sono poi uomini e donne che, “lasciando i luoghi dell’esistenza abituale, cercano di sfuggire a sé stessi, di dimenticarsi, di tuffarsi in una dimensione di totale smemoratezza. È come congedarsi dal proprio io, e magari anche da Dio. Ma lo sdoppiamento non giova. Che cosa succede al ritorno?”. E c’è il viaggio del profugo, “dei mille profughi che lasciano i loro Paesi in cerca di lavoro, di case per sé e i propri bambini e famiglia, soprattutto in cerca di libertà e dignità. E vediamo moltiplicarsi sotto i nostri occhi gli sbarchi: li vediamo per televisione, da lontano, con occhi chi di compassione, chi di preoccupazione e di magari di paura”. Per essere pellegrini, invece, “non basta mettersi sulle strade del mondo. C’è una mèta da raggiungere, e ogni momento deve essere finalizzato alla mèta”.“L’Eucaristia è pane spezzato per tutti, e questo gesto chiede di essere rinnovato ogni giorno anche nel vivere civile”. Queste le parole di mons. Caprioli al termine dell’omelia. Il riferimento è al Vangelo, che narra l’episodio dei discepoli di Emmaus, e la constatazione di fondo è che “la crisi attuale è una crisi di fede. La trasmissione della fede alle nuove generazioni è la questione che deciderà del destino delle nostre Chiese nel mondo occidentale”. La ricetta, allora, secondo il presule, è tutta racchiusa in una splendida frase medievale: “Ubi amor, ibi oculos”. “Dove c’è l’amore, c’è lo sguardo. Chi ama veramente, capisce e riconosce”. Proprio come i discepoli di Emmaus, che hanno riconosciuto Gesù “nei gesti semplici, quotidiani”: lo spezzare il pane, gesto che il figlio di Dio “aveva compiuto tante volte, nel tempo della sua vita pubblica”. Solo così, in questa prospettiva e in questo spirito, ha concluso mons. Caprioli, il Congresso eucaristico potrà rivelarsi, una volta tornati a casa, “non una parentesi, una distrazione, ma una sosta preziosa per metterci di fronte al mistero da cui la Chiesa è generata, per riprendere con rinnovato vigore e slancio la missione dei credenti oggi”. (a cura di M. Michela Nicolais – inviata SIR ad Ancona)