Vita Chiesa

Consiglio permanente: Zuppi, “Chiesa al servizio della pace”

Oggi è in corso fino alle 16.30 a Roma, presso la sede della Cei, la riunione del Consiglio Episcopale Permanente in sessione straordinaria

Cardinal Maria Matteo Zuppi (Foto archivio Agensir)

Oggi è in corso fino alle 16.30, a Roma, presso la sede della Cei, la riunione del Consiglio Episcopale Permanente in sessione straordinaria.
Dopo l’Introduzione del Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Cei, saranno illustrate le prossime tappe del Cammino sinodale, in preparazione alla Terza Assemblea Sinodale.
Durante i lavori, inoltre sarà approvato il Messaggio per la 75ª Giornata Nazionale del Ringraziamento che si celebrerà il 9 novembre.

Di seguito pubblichiamo l’introduzione del card. Matteo Zuppi.

Cari Confratelli, 

ci ritroviamo per questa sessione straordinaria del Consiglio Permanente in un momento di grande cambiamento nel mondo e nella Chiesa. Abbiamo salutato l’amato Papa Francesco che, fino all’ultimo, ha speso la sua vita per il gregge che gli era stato affidato. La sua morte ha addolorato tutti, grandi e piccoli, i potenti e gli ultimi della terra, credenti e non credenti. Tanti leader cristiani  e di altre religioni; un popolo numeroso che – senza organizzazione, ma con intuito spirituale – ha  reso omaggio a Francesco. In tanti hanno espresso, nei giorni passati, il senso di mancanza perché  lui non era più con noi. È l’evidenza di quei “tutti” che si sono sentiti a casa con lui e che chiedono  di trovare una Chiesa che accoglie, non perché accetta tutto, ma perché cambia tutti e tutto  rendendo figli e amati. 

Non è stata solo la manifestazione della simpatia verso il Papa defunto, ma la rivelazione  dell’attrazione che questo uomo di Dio ha esercitato: attrazione verso la sua umanità cristiana,  verso la fede, la Chiesa, il bene, l’amore tra fratelli. La sua non è stata una popolarità effimera; Francesco ha veramente avvicinato la Chiesa alla gente. Sono cadute parecchie preclusioni, anche  consolidate, verso la Chiesa e il Papa, grazie a Francesco. La Chiesa in Italia, nella larga prospettiva  della storia, ha un forte debito verso di lui. Abbiamo – vorrei sottolinearlo – la responsabilità di  cogliere le strade che ha aperto, le domande esplicite e implicite che oggi si manifestano.  

Come Vescovi della Chiesa in Italia, dobbiamo esprimere la nostra gratitudine per la sua presenza  in mezzo a noi, mai formale o banale, e dobbiamo dire grazie perché il suo magistero empatico ha  tanto aiutato il servizio al Vangelo che svolgiamo nella società. Ha detto Papa Leone XIV: «Con la  sua morte ci siamo sentiti come quelle folle di cui il Vangelo dice che erano “come pecore senza  pastore” (Mt 9,36)».  

Il Papa defunto ha mostrato come il mondo abbia bisogno del Pastore, dei Pastori, di cristiani capaci  di incontrare e amare gratuitamente. Non si nasconde dietro questo bisogno una rinnovata  necessità del Buon Pastore? Quel Pastore che non abbandona le sue pecore fino al dono della sua  vita, ma che sa di avere «altre pecore che non provengono da questo recinto». Anche queste pecore  «ascolteranno la mia voce – dice Gesù – e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10,16).  Leggiamo con attenzione le aperture e le domande di questo tempo che richiede, forse, da parte  nostra una presenza, una capacità di empatia e una comunicazione rinnovata e creativa. 

Francesco ci ha insegnato a uscire dalle logiche del consenso e dell’abitudine, dall’alibi dello scoraggiamento e del compiacimento, dalla tentazione di giudicare senza amare, di scambiare il  dialogare con l’assecondare la mentalità comune. Ci ha spronato a essere una Chiesa materna,  «inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti» (Discorso, 10 novembre 2015), raccomandandoci «l’eloquenza dei gesti». Ha chiesto a tutti di parlare di Cristo,  ha parlato di Cristo con commovente insistenza e tanta sapienza umana, riproponendo  l’essenzialità del kerygma, da cuore a cuore, mostrando l’umanità del Vangelo perché incontri oggi  la ricerca di speranza, di senso, di futuro delle persone. Ci ha chiesto di farlo senza paura e senza  supponenza, forti della santità, sempre con quella simpatia che attrae, comunica, crea relazioni con  tutti, senza paura di farsi contaminare perché con identità chiara e con purezza di cuore, mettendo  in circolo la fede nelle vene dell’umanità. Questo è possibile, certo, con l’equilibrio del  discernimento, ma solo se sbilanciati dalla compassione che spinge a essere inquieti per cercare la pecora che si è perduta. Il fratello maggiore si converte e scopre la gioia della casa se accetta che la  verità sia la misericordia del Padre.  

Francesco ci ha ricordato che i poveri sono i preferiti e non sono utenti e che servirli è richiesto a  tutti ed è amore, ben diverso da attività meramente sociale. Ha difeso la vita dal suo inizio al suo compimento, in ogni sua stagione e di tutti, indicando il valore della persona non in categorie  astratte ma perché fratelli tutti. Ricordiamo ancora le parole che ci ha rivolto nel corso della nostra  66ªAssemblea Generale, un lascito importante per uno stile di vita coerente con il Vangelo: «Come Pastori, siate semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi, per camminare spediti e non frapporre nulla tra voi e gli altri. Siate interiormente liberi, per poter essere vicini alla gente, attenti a impararne la lingua, ad accostare ognuno con carità, affiancando le persone lungo le notti delle loro solitudini, delle loro inquietudini e dei loro fallimenti: accompagnatele, fino a riscaldare loro il cuore e provocarle così a intraprendere un cammino disenso che restituisca dignità, speranza e fecondità alla vita» (Discorso, 19 maggio 2014). 

Da Francesco a Leone XIV: universalità e comunione 

Il passaggio di un Vescovo, soprattutto nella Chiesa di Roma che presiede nella carità, è un’esperienza di fede e non può essere ridotto alle sole interpretazioni umane, spesso distorcenti,  esteriori, interessate, polarizzate. L’elezione del successore di Pietro (e quindi anche di Papa  Francesco) è un vero atto di tradizione, gesto con cui la Chiesa trasmette «tutto ciò che essa è, tutto  ciò che essa crede» (Dei Verbum, 8). È stata una vera e propria epifania della Chiesa, manifestazione evidente della sua universalità. 

Questa universalità ho avuto modo di sperimentarla – permettetemi una nota personale – anche nel Conclave e nelle Congregazioni che lo hanno preceduto e preparato. La geografia delle  provenienze e la ricchezza della storia di ciascuno dei Cardinali convenuti a Roma si sono intrecciate  tra loro mostrando la bellezza della Chiesa cattolica, romana, universale, che fa del mondo una casa.  La molteplicità di sensibilità e preoccupazioni, comprensibilmente diverse, sono state motivo di  ricchezza nella comunione perché questa non omologa, non rende tutti uguali ma tutti insieme;  non cancella le differenze perché è molto più di una composizione di categorie o esigenze: la  comunione, infatti, le valorizza e le armonizza nell’esercizio di vera collegialità. Per tutti è stato un  momento di grazia che ci consente di ringraziare per quanto ricevuto da Papa Francesco e, come  deve essere sempre per il successore di Pietro, di metterci, senza esitazione, senza paragoni e senza  riserve nell’atteggiamento di obbedienza filiale a Leone XIV, con e per lui al servizio della Chiesa e  della folla affamata di senso e speranza, assetata di spiritualità e di comunità. Gli diciamo tutta la  nostra fedeltà e la nostra volontà di comunione come successore di Pietro, ma anche come Primate  d’Italia. 

Abbiamo trovato nelle parole del nuovo Vescovo di Roma un grande incoraggiamento a una  rinnovata attenzione pastorale, fin nella scelta stessa del nome che rivela la sensibilità alle sfide del  mondo e della rivoluzione digitale nella quale siamo immersi. Egli ha detto riguardo agli Apostoli:  «Tocca proprio a loro portare avanti questa missione, gettare sempre e nuovamente la rete per  immergere nelle acque del mondo la speranza del Vangelo, navigare nel mare della vita perché tutti  possano ritrovarsi nell’abbraccio di Dio» (Omelia, 18 maggio 2025).  

Al di là delle letture troppo politologiche della Chiesa, tutto si ricompone nell’unità, per opera dello  Spirito e per la disponibilità dei cristiani alla sua azione. L’unità è uno dei temi principali indicatici  dal nuovo Papa: «Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti!  Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della sua luce» (Prima Benedizione  “Urbi et Orbi”, 8 maggio 2025). Più saremo impegnati nella missione, più sentiremo la necessità di non essere isole, ma di vivere la comunione, capace di accogliere, affratellare, trasfigurare gli  uomini e le donne. Del resto, ha ricordato Papa Leone, «vorrei che insieme, oggi, rinnovassimo la  nostra piena adesione […] alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla  scia del Concilio Vaticano II. Papa Francesco ne ha richiamato e attualizzato magistralmente i  contenuti nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, di cui voglio sottolineare alcune istanze  fondamentali: il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio (cfr n. 11); la conversione missionaria di  tutta la comunità cristiana (cfr n. 9); la crescita nella collegialità e nella sinodalità (cfr n. 33);  l’attenzione al sensus fidei (cfr nn. 119-120), specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive,  come la pietà popolare (cfr n. 123); la cura amorevole degli ultimi, degli scartati (cfr n. 53); il dialogo  coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà (cfr n. 84;  Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, 1-2)» (Discorso, 10 maggio 2025). Sin d’ora, mi sia  permesso di confermare a Papa Leone la nostra gratitudine per il dono dell’udienza che ha concesso  alla Conferenza Episcopale Italiana per il prossimo 17 giugno: sarà un’occasione preziosa per  pregare insieme, rinnovare la nostra professione di fede e ascoltare la sua parola alle Chiese in  Italia. 

L’urgenza della pace per il mondo intero 

Affacciandosi alla Loggia centrale della Basilica Vaticana per il suo primo saluto, Papa Leone ha  richiamato il dono della pace offerto dal Cristo risorto. Basta allargare lo sguardo per dire, senza  tema di smentita, che ciò di cui l’umanità ha più bisogno oggi è proprio la pace. La Chiesa invoca,  annuncia e si mette al servizio della pace. Senza esitazioni, senza soste. Facciamo nostre, dunque,  le parole per la popolazione della Striscia di Gaza, pronunciate mercoledì scorso, al termine  dell’udienza generale, da Leone XIV: «È sempre più preoccupante e dolorosa la situazione nella  Striscia di Gaza. Rinnovo il mio appello accorato a consentire l’ingresso di dignitosi aiuti umanitari  e a porre fine alle ostilità, il cui prezzo straziante è pagato dai bambini, dagli anziani, dalle persone  malate» (Udienza generale, 21 maggio 2025). Chiediamo il rispetto del diritto internazionale  umanitario, l’ingresso di aiuti senza restrizioni, l’apertura di corridoi umanitari e, soprattutto, la  promozione di un dialogo che possa realizzare la soluzione “due popoli, due Stati”. Il nostro sguardo  si rivolge anche all’Ucraina nell’auspicio che i fili del dialogo, già così difficili, siano rafforzati, trovino  le garanzie necessarie inserite in un quadro che permetta una pace giusta e sicura. Non possiamo  però dimenticare i tantissimi conflitti che insanguinano il pianeta. Abbiamo a cuore i popoli di Asia,  Africa, America Latina piegati dalla tragedia delle armi, che portano morte e sofferenze, generando  odio e ulteriori ingiustizie. 

Il cristiano è un artigiano di pace, che dal suo cuore trae la forza di una pace disarmata e disarmante.  Ci aiutano due intense memorie storiche, tra loro correlate: l’80° della fine della Seconda guerra  mondiale e il 75° della Dichiarazione Schuman (9 maggio 1950), con la quale i “padri fondatori”  dell’Europa avviarono il processo di pacificazione post-bellica e di integrazione comunitaria con  l’obiettivo, esplicito, di riportare la pace nel continente e nel mondo intero. Perché la pace non sia  una tregua occorre imparare a pensarci non solo vicini ma insieme, a difendere la soluzione pacifica  dei conflitti e rafforzare le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Per questo occorre  costruire un’architettura di pace, frutto di quei valori e della dolorosa consapevolezza che sono a  fondamento dell’Europa, che non può essere ridotta a diritti individuali o burocrazia, perché  fondata sulla difesa della persona nel suo valore indiscutibile e nella sua relazione con la comunità.  Siamo ben consapevoli che la pace non è statica, ma mette in movimento, coinvolge, riguarda tutti. Ecco perché la Chiesa in Italia continuerà a impegnarsi per tessere relazioni, per alimentare il dialogo, per iniziare percorsi di riconciliazione e di sviluppo, anche attraverso le attività e i progetti che i fondi dell’8xmille destinati alla Chiesa cattolica rendono possibili. Vogliamo contribuire a  realizzare un mondo unito e in pace, dove non si senta più il rumore delle armi e dove tutti possono  dirsi fratelli. La lotta alla povertà, l’educazione che la stessa presenza della Chiesa anima con le sue  diverse realtà, l’impegno per lo sviluppo e gli aiuti al mondo, sono una parte del nostro sforzo. Per  questo, esprimiamo gratitudine a quanti scelgono di destinare l’8xmille alla Chiesa cattolica: ciò  consente di realizzare migliaia di progetti in Italia e nel mondo. Siamo poi fiduciosi che si agisca a  correzione, secondo gli impegni assunti, sugli interventi apportati unilateralmente dal Governo,  come anche da diversi altri precedenti, sul sistema dell’8xmille, ripristinandolo così come  originariamente stabilito, nel rispetto della realtà pattizia dell’Accordo. Su questo tema torneremo  in futuro. 

Assemblea sinodale: il senso del rinvio a ottobre 

Il cammino della Chiesa in Italia merita certamente una riflessione attenta, esaminando le reazioni  che con accentuazioni differenti hanno fatto seguito alla Seconda Assemblea Sinodale. Non intendo  rispondere a commenti che hanno travisato l’esito della Seconda Assemblea, dandone  interpretazioni che non avevano nulla a che vedere con quanto accaduto e con la spiegazione  presentata con trasparenza da Mons. Castellucci, che ringrazio vivamente. Tutti coloro che hanno  partecipato ai lavori assembleari hanno visto nel rinvio ad ottobre per l’approvazione delle  Proposizioni uno snodo che ha permesso allo Spirito di parlare ancora. Sin dall’inizio del percorso,  abbiamo chiesto partecipazione e l’abbiamo avuta. È il segno, concreto, che nulla era stato  prestabilito, confezionato, imposto dall’alto, ma frutto del discernimento delle Chiese che si sono  messe in ascolto e hanno attivato processi inediti e forse, addirittura, inattesi. Del resto, nella vita,  quando si percorre una strada, si possono conoscere fatiche, rallentamenti, cambi di percorso. Rileggere gli interventi assembleari e i lavori di gruppo ci ha permesso di scoprire una Chiesa appassionata e desiderosa di non disperdere l’esperienza di quattro anni. Ci è stato affidato un compito di maturare quanto vissuto e sperimentato. Sono quelle accordature necessarie perché l’orchestra possa produrre un’armonia di un “noi” ecclesiale quanto mai necessario. Va letta in  quest’ottica anche la decisione dei Vescovi di spostare l’Assemblea Generale (ordinaria) da maggio  a novembre: una scelta che non ha a che fare con il cedimento o la costrizione, ma solo con il  desiderio di non voltarsi di fronte al nuovo che avanza, alle tracce che lo Spirito sta lasciando, per  valorizzare il più possibile tutte le istanze del Cammino sinodale che ha coinvolto le comunità e le  Chiese da quattro anni, secondo la ricchezza dei rispettivi carismi e ministeri. La comunione, condizione per l’evangelizzazione, infatti, non si improvvisa, ma si impara facendola, vivendola,  pensandosi in relazione ad essa e non viceversa, facendosi coinvolgere. Credo, sia stata un’occasione per crescere! Per tutti: Vescovi, presbiteri, membri della vita consacrata e laici. 

Vita e dignità della persona  

Rivolgendosi al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Papa Leone ha ricordato che «la Chiesa non può mai esimersi dal dire la verità sull’uomo e sul mondo» e che «la verità però non è mai disgiunta dalla carità, che alla radice ha sempre la preoccupazione per la vita e il bene di ogni uomo e donna» (Discorso, 16 maggio). In questa prospettiva, esprimiamo il pressante auspicio che  le recenti sentenze con le quali la Corte costituzionale è nuovamente intervenuta sulla vita umana  al suo sorgere e nella fase conclusiva non conducano a soluzioni legislative che finiscono col  ridimensionare l’infinita dignità della persona dal concepimento alla morte naturale. Uno sguardo  non parziale sui diritti della persona umana in ogni fase della sua vita, e in particolare nei momenti  di massima vulnerabilità, ci induce poi a ribadire in materia di fine vita quanto già espresso nella nota della Presidenza CEI il 19 febbraio, con una duplice sottolineatura: anzitutto la necessità che  «si giunga, a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano  l’accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza»;  e l’invito accorato a dare «completa attuazione» alla «legge sulle cure palliative» affinché siano  «garantite a tutti, in modo efficace e uniforme in ogni Regione, perché rappresentano un modo  concreto per alleviare la sofferenza e per assicurare dignità fino alla fine, oltre che un’espressione  alta di amore per il prossimo». Una priorità questa significativamente fatta propria dalla stessa  Consulta, che ha rinnovato il suo «stringente appello al legislatore» perché «dia corso a un adeguato  sviluppo delle reti di cure palliative» e a «una effettiva presa in carico da parte del sistema sanitario  e sociosanitario» di «chi versa in situazioni di grave sofferenza». La Chiesa avverte il dovere di  annunciare in ogni tempo il «Vangelo della vita» che «sta al cuore del messaggio di Gesù», come  scriveva san Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae della quale abbiamo appena ricordato  il trentennale. 

Resta alta l’attenzione della Chiesa in Italia per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Nella costante vicinanza alle vittime e nell’impegno perché si prevenga con rigore e strumenti adeguati il tragico fenomeno degli abusi si colloca la pubblicazione della Terza Rilevazione delle attività territoriali promossa dal Servizio nazionale per la tutela dei minori e adulti vulnerabili che analizza le attività dei Servizi Regionali, diocesani/interdiocesani e dei Centri di ascolto nel biennio 2023- 2024. La Rilevazione, che sarà presentata domani, mercoledì 28 maggio, verifica efficacia e capillarità delle strutture presenti in tutta Italia ed evidenzia progressi significativi nella creazione di ambienti ecclesiali sicuri, nella formazione degli operatori e nell’accoglienza e ascolto delle vittime. Questo non vuol dire nascondere o sottovalutare le complessità che sono emerse: le difficoltà e le sofferenze cisono e ci interrogano, come Pastori e come comunità ecclesiale. Il rigore  senza giustizialismi e opacità, l’attenzione ai dati arrivati dalle Diocesi ed elaborati dagli esperti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, chiedono un impegno crescente e ci spronano a proseguire in questo cammino di responsabilità e trasparenza per lavorare sulle criticità e implementare le buone prassi. Va in questa direzione anche lo studio-pilota, che è stato avviato e  che ha come oggetto i casi accertati o presunti di abusi sessuali su minori commessi da chierici in  Italia, segnalati e trattati nelle singole Diocesi tra il 2001 e il 2021. Questa ulteriore iniziativa è svolta da due Istituzioni, indipendenti, riconosciute a livello internazionale: l’Istituto degli Innocenti di  Firenze e il Centro interdisciplinare di ricerca sulla vittimologia e sulla sicurezza dell’Università di  Bologna. 

Sempre in tema di vita e di dignità, non possiamo non concentrare la nostra attenzione sul mondo  del lavoro. Uno dei dati più preoccupanti emersi dall’ultimo Rapporto annuale dell’Istat, pubblicato  lo scorso 21 maggio, è quello relativo al lavoro povero, sempre più diffuso, tanto che oltre il 23%  della popolazione è a rischio povertà o esclusione sociale. In sintesi, lavorare oggi non basta più per  dirsi al riparo da una condizione di indigenza. Tutto ciò va a scapito delle famiglie e, a cascata,  dell’accesso alle cure sanitarie, delle opportunità di studio, della possibilità di affrontare spese  ordinarie e straordinarie. Il lavoro povero aumenta le disuguaglianze di genere, territoriali e  intergenerazionali e rende ancora più acuto il drammatico problema della casa. C’è bisogno di  coraggiose politiche del lavoro, che sappiano tenere insieme l’esigenza di salari giusti e di  produzioni coerenti con l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa. Senza lavoro non c’è  rispetto della dignità. A margine, non possiamo non ribadire che la produzione industriale che vuole riconvertire in armi alcune delle aziende in crisi non fa bene né alla nostra economia né al mondo. 

Carissimi Confratelli, 

come nella lettura degli Atti degli Apostoli che accompagna queste settimane dopo Pasqua, sento  che oggi possiamo “compiere i prodigi della prima generazione” se pieni del suo Spirito Paraclito.  Gli Apostoli non si arresero davanti alle difficoltà. A Misia, lo Spirito suggerì una visione a Paolo. Era  un macedone, sconosciuto, che lo supplicava: «Vieni in Macedonia e aiutaci» (At 16,9). Il Signore ci  doni di ascoltare la richiesta di tanti che ancora non conosciamo ma che chiedono aiuto e di  annunciare con le parole e con la vita il Vangelo di Gesù. Affidiamo questa giornata di lavori alla  Vergine Maria, Madre del Buon Consiglio e Regina della pace. Grazie!