Italia

Corruzione in sanità: coinvolte una Asl su quattro. Al sud il 37,3% del totale

Gli interventi normativi e gli strumenti di prevenzione e contrasto introdotti all’interno delle strutture sanitarie del nostro Paese hanno potuto arginare ma non eliminare del tutto la corruzione, che nell’ultimo anno ha coinvolto il 25,7% delle Aziende sanitarie. E’ quanto emerge dall’indagine condotta dal Censis sulla percezione dei responsabili della prevenzione della corruzione di 136 strutture sanitarie nell’ambito del progetto Curiamo la corruzione coordinato da Transparency International Italia, in partnership con Censis, Ispe Sanità e Rissc, finanziato nell’ambito della Siemens Integrity Initiative e presentato oggi a Roma, al Tempio di Adriano, nel corso della seconda Giornata nazionale contro la corruzione in sanità alla presenza, tra gli altri, del ministro della Salute Beatrice Lorenzin.

La distribuzione del fenomeno non è la stessa su tutto il territorio: la maglia nera va al Sud, dove le strutture in cui risulta almeno un episodio di corruzione sono il 37,3% del totale. Gli ambiti maggiormente a rischio sono quello degli acquisti e delle forniture, le liste d’attesa e le assunzioni del personale. Secondo il rapporto, all’interno del sistema sanitario permangono ancora forti differenze tra regioni e aree territoriali, sia nella qualità che nella quantità degli strumenti attivati. Le strutture sanitarie che hanno partecipato all’indagine sono state classificate in 4 gruppi, secondo un indice che valuta la percezione del rischio di corruzione. Ventiquattro strutture, pari al 17,6%, di cui ben 16 del Nord, si classificano nella fascia di rischio basso. Sono invece 20 le strutture sanitarie, cioè il 14,7%, che presentano una percezione di rischio alto, e tra queste 9 si trovano al Sud.

Mancano piani anticorruzione. L’analisi dei piani anticorruzione di tutte le aziende sanitarie italiane condotta da Rissc – Centro ricerche studi e criminalità rivela che il 51,7% delle strutture non ha adottato piani anticorruzione adeguati. Le regioni con la qualità media dei piani più bassa sono Calabria e Puglia. Sulla base dell’analisi dei conti economici effettuata da Ispe Sanità si stima che circa il 6% delle spese correnti annue del Servizio sanitario nazionale siano riconducibili a sprechi e corruzione. Il rischio di inefficienze, si legge nel rapporto, «è più alto nel caso di acquisto di servizi per le Asl e di acquisto di beni per le Aziende ospedaliere» e l’ammontare di queste potenziali inefficienze «è stimato in circa 13 miliardi di euro».

Il sistema anticorruzione nella sanità italiana «ha fatto notevoli progressi, ma siamo a metà strada», afferma l’indagine. La notizia positiva è che il 96,3% delle aziende sanitarie ha già reso disponibili dei sistemi di raccolta delle segnalazioni di corruzione (whistleblowing) e il 44,4% lo ha fatto utilizzando delle piattaforme informatiche. Inoltre, il 79,4% delle strutture ha adottato i Patti di integrità, da sottoscrivere con le aziende che partecipano agli appalti e il 90,4% ha intrapreso percorsi di formazione rivolti al personale sui temi dell’etica e della legalità. Sono proprio la formazione e la sensibilizzazione dei dipendenti ad essere ritenute le misure più efficaci per contrastare la corruzione dal 51,9% dei responsabili della prevenzione, più dell’aumento dei controlli sulle spese (45,0%) e sulle procedure di appalto (37,4%): solo nelle Regioni del Sud i responsabili della prevenzione mettono al primo posto i controlli sulle spese.

«Curiamo la corruzione», si legge nell’indagine, «ha l’obiettivo di aiutare il nostro Servizio sanitario nazionale» a ridurre il livello di corruzione «attraverso una maggiore trasparenza, integrità e responsabilità». A questo fine sono state realizzate diverse attività di ricerca sul campo e di formazione del personale di aziende sanitarie e ospedaliere, con strumenti innovativi e modelli organizzativi specifici in 4 Asl pilota di Bari, Melegnano e Martesana, Siracusa e Trento. Secondo il rapporto, occorre tuttavia «continuare a investire su ricerca, formazione, dialogo e nuove tecnologie», migliorare gli strumenti di analisi e la quantità e qualità dei dati disponibili, ridurre le differenze tra regioni «nella lotta alla corruzione e agli sprechi».