Italia

Cosa resta del Natale se si toglie Gesù?

di Riccardo Bigi

Il cardinale Biffi, qualche anno fa, aveva già fatto suonare il campanello d’allarme: «A Natale tutti fanno festa, ma pochi sanno chi è il Festeggiato». L’episodio avvenuto in una scuola elementare di Firenze, in questo senso, non dice nulla di nuovo: già da anni ormai siamo abituati nelle scuole toscane a vedere il presepe che diventa «paesaggio palestinese antico», o il Natale ribattezzato «festa d’inverno». Più che soffermarsi sulla vicenda fiorentina, quindi, vale la pena allargare lo sguardo su come, nelle scuole toscane, si parla (o non si parla) del Natale.

«Non c’è dubbio che c’è un pudore diffuso a ricordare le origine storiche del Natale» afferma Giovanni Bensi, presidente regionale dell’Aimc, l’associazione dei maestri cattolici. Il problema, dice, non è religioso, ma culturale: «Parlare del Natale senza ricordare l’evento storico della nascita di Gesù è una grave lacuna, rischia di creare un vuoto che non si sa poi come potrà essere riempito». Senza contare che, in un Paese come l’Italia, un bambino che non riceva questo tipo di nozioni rischia di non avere gli strumenti per capire, ad esempio, gran parte della storia della letteratura e dell’arte italiane.

Da cosa deriva questa tendenza? Secondo Bensi, «si è creato un clima in cui si temono le proteste di genitori che non vogliono che i loro bambini sentano neanche nominare Gesù. E allora, anche chi non ha sentimenti antireligiosi, finisce per farsi condizionare da questa minoranza, per giocare al ribasso, cercando di evitare le polemiche. In questo modo, cosa ci resta? I regali, le luci, un vago buonismo… tutti aspetti che, mi pare, abbiano anche dal punto di vista educativo e culturale un valore molto minore». D’altra parte, il problema non riguarda solo la scuola: «Sono stato in una libreria Feltrinelli, in questi giorni, e nel reparto dei libri per bambini non c’era neanche un libro di argomento religioso: una cosa un po’ strana visto il periodo natalizio. È chiaro che la motivazione non è commerciale, ma ideologica. Poi magari, a scuola, si organizzano grandi eventi per celebrare Garibaldi: per carità, è giusto che i bambini conoscano quella parte di storia italiana, ma perché invece non devono conoscere una figura come Gesù che, anche dal punto di vista storico, è ben più importante di Garibaldi?»

Anche secondo Barbara Pandolfi, incaricata regionale della Conferenza Episcopale Toscana per l’insegnamento della religione cattolica, «episodi come quello avvenuto a Firenze fanno riflettere. Forse in alcuni insegnanti c’è una forma di autocensura, si cerca di non disturbare nessuno. Purtroppo siamo in una regione in cui la prospettiva ideologica è ancora forte». Oggi però, afferma, certi episodi appaiono più isolati: «Mi sembra che in passato ci siano stati maggiori problemi, ormai su questo aspetto c’è stata una riflessione e si sta trovando un equilibrio. Personalmente, ho sempre trovato nella scuola pubblica un clima di rispetto e dialogo verso la religione». Su questo tema, ha pesato sicuramente anche la presenza crescente di bambini provenienti da culture, tradizioni e religioni diverse. «Intendiamoci – sottolinea Barbara Pandolfi – la loro presenza non crea nessun problema, le loro famiglie generalmente accettano senza difficoltà che si parli del Natale o di Gesù. Ho avuto persino ragazzi musulmani che hanno frequentato l’ora di religione cattolica, per un loro interesse culturale. Così come la loro presenza offre l’opportunità di far conoscere ai nostri ragazzi altre culture, altre tradizioni. Il problema semmai è quando la loro presenza viene usata come pretesto per escludere ogni riferimento religioso. Ma anche questo, per fortuna, accade sempre più raramente: ormai si è capito che il dialogo interreligioso non significa rinuncia alla propria identità, anzi è uno stimolo in più a recuperare, spiegandole agli altri, le radici religiose delle nostre feste. Il pericolo maggiore che vedo non è quello dell’ostilità verso la religione, ma è l’indifferenza. Anche perché una volta la scuola poteva dare per scontato che i ragazzi conoscessero alcune cose, oggi non è più così».

Cosa dicono, su questi argomenti, le famiglie? Rita Di Goro, presidente fiorentina e regionale dell’Age, l’associazione genitori, invita ad affrontare il tema in maniera pacata, senza polemiche, ma anche con chiarezza. «È vero – afferma – che da numerosi anni ormai nelle nostre scuole si assiste a una vera e propria opera di rimozione dei contenuti cristiani, e questo risalta agli occhi soprattutto in occasione del Natale. Come genitori cristiani -continua Rita Di Goro – dobbiamo essere fermi nel pretendere il rispetto delle nostre tradizioni, ma anche particolarmente attenti a sfuggire le strumentalizzazioni che hanno il solo effetto di ridurre a terreno di scontro i valori in cui crediamo. Altrimenti, prestiamo il fianco a chi ha tutto l’interesse a porre all’attenzione dell’opinione pubblica Gesù come segno di divisione e non di unione».

Il fatto che la scuola pubblica sia laica e pluralista, secondo la presidente dell’Age, «non deve significare la cancellazione di ogni identità religiosa: la dimensione religiosa costituisce infatti in ognuno (e anche nei bambini) un aspetto fondamentale della persona, che non può essere mortificato o relegato nella sfera privata. Anche la presenza crescente, nelle scuole, di bambini di altre culture e religioni non deve diventare un alibi per togliere – con la scusa di non offendere nessuno – ogni riferimento religioso ma deve piuttosto essere l’occasione perché la scuola educhi alla reciproca conoscenza e alla pacifica convivenza dei popoli e delle culture». Quali sono allora le vie di uscita da questa soluzione? «Creare un clima aperto e rispettoso verso la religione. Come genitori, dobbiamo anche riconoscere che agli insegnanti è chiesto un compito non facile, davanti al quale non devono essere lasciati soli: trovare un equilibrio fra esigenze diverse e complementari. Da un lato la salvaguardia della laicità e del pluralismo della scuola pubblica; dall’altro il rispetto dovuto verso ogni appartenenza religiosa, nel riconoscimento e nella valorizzazione delle identità di ciascuno; dall’altro ancora la tutela, in un paese come l’Italia, di quelle radici religiose che costituiscono un aspetto della nostra storia e della nostra cultura che non può essere disperso o cancellato».

Il «caso» fiorentino: tra gli addobbi natalizi è vietato il «bambinello»Tutto nasce dalla lettera inviata ai giornali dal padre di un bambino che frequenta la quarta elementare alla scuola Villani di Firenze. Al figlio – questa la denuncia – sarebbe stata negata la possibilità di disegnare Gesù bambino nelle decorazioni natalizie che la classe stava realizzando. Sempre secondo quanto riferito dal padre, la maestra, alla richiesta di spiegazioni da parte della madre dell’alunno, avrebbe detto che per gli insegnanti c’è una regola che impedisce di trattare temi religiosi. Dalla direzione del circolo scolastico, sentita l’insegnante, era stato spiegato che si sarebbe trattato di un equivoco: i bambini dovevano fare dei piccoli disegni per decorare la porta dell’aula per Natale, tipo stelline o abeti. Allo scolaro che aveva chiesto di fare Gesù bambino la maestra avrebbe suggerito di fare soggetti più facili. Nessuna volontà di discriminazione religiosa.

Il direttore dell’ufficio scolastico per la Toscana Cesare Angotti ha voluto però approfondire la vicenda e, dopo una sospensione temporanea della maestra, ha aperto un procedimento disciplinare nei confronti dell’insegnante e ha disposto un’ispezione per chiarire l’accaduto, che dovrebbe concludersi nei prossimi giorni.

Nel frattempo, almeno a livello di relazioni umane, la vicenda sembra superata: la maestra ha ripreso il suo lavoro, ben accolta dai bambini e dalle famiglie che le hanno sempre dimostrato la loro stima. «Molto dispiaciuto» per tutta la vicenda si è detto anche il padre dell’alunno: «È una brava insegnante, non volevo certo una sua punizione, volevo che fosse riconosciuta la libertà di espressione. L’insegnante ha ammesso l’errore e per noi l’episodio è chiuso. In fondo, ha pagato per una prassi diffusa in alcune scuole per cui non si debbono rappresentare immagini sacre. Lei si è adeguata a una regola del sistema che non esiste ma che di fatto è spesso applicata».

Anche secondo il direttore dell’ufficio scolastico regionale Angotti, la vicenda va posta su un piano più generale: «Questo episodio – spiega – come altri accaduti in più parti di Italia, paiono ispirati da un malinteso senso del principio di laicità dello Stato. Principio che di per sé non si discute, ma che però non deve tramutarsi in un generico laicismo. In particolare, negli ambienti educativi la presenza di simboli religiosi non ha significato discriminatorio, perché questi simboli sono riconosciuti come valori che hanno rilevanza civile».

Il commento di monsignor Meini