Italia

Dalla Toscana un centro per i giovani di Baghdad

DI ANDREA FAGIOLI

Un centro polivalente aperto a tutti i giovani. È questo il sogno dell’arcivescovo di Bagdad, Jean Benjamin Sleiman, che potrebbe diventare realtà grazie all’intervento della Fondazione Giovanni Paolo II, una onlus promossa dalla diocesi di Fiesole con l’intento, dopo un decennale impegno per la Terra Santa, di operare a favore dei cristiani e delle popolazioni dei Luoghi santi e delle altre regioni del mondo che vivono in difficoltà.

Ospite in Toscana, l’arcivescovo di Bagdad (63 anni, originario del Libano, dal 2001 in Iraq) ha spiegato che «per troppo tempo in Iraq si è vissuto come se non esistesse un periodo della vita chiamato gioventù. Ora – dice – dobbiamo ripartire proprio dai giovani». E l’idea è quella di creare un centro dove si possa fare formazione, non solo religiosa, ma anche culturale. «L’importante – a giudizio di Sleiman – è aiutare la gioventù a vivere la reciprocità e l’uguaglianza. Le Chiese sono state sempre uno spazio di libertà per i giovani. Noi vogliamo organizzare questa libertà e questo spazio per loro».

Per la realizzazione del centro, che dovrebbe sorgere su un terreno attiguo alla cattedrale di Bagdad, si sta appunto mobilitando la Fondazione Giovanni Paolo II, che inizierà a raccogliere fondi, studiare progetti e poi seguirà passo passo i lavori nella capitale irachena come finora ha fatto con tutte le realizzazioni in Terra Santa e quelle avviate di recente anche in Siria e in Libano.

«I giovani – dice Sleiman – sono la realtà su cui puntare, rappresentano il futuro. Per troppo tempo la gioventù non ha avuto in Iraq lo spazio che meritava».

Il centro potrebbe anche favorire la permanenza dei cristiani, ridotti ormai a un’esigua minoranza. Si parla di una cifra tra i 400 e i 500 mila, di cui l’80 per cento cattolici, su una popolazione di 25 milioni. «Purtroppo non è facile avere dei numeri precisi – dice Sleiman –. Qualche anno fa si parlava di un milione, ma molti se ne sono andati: un vero e proprio esodo dettato dalla paura».

Anche andare alla Messa può essere pericoloso, nonostante che di fronte alle chiese non si facciano parcheggiare o passare le auto, che rappresentano ancora uno dei mezzi più usati per gli attentati. «A Bagdad – spiega ancora l’arcivescovo – ci sono una sessantina di chiese: la metà sono chiese caldee. Noi latini ne abbiamo solo quattro, anche se regolarmente officiate, senza contare i conventi che hanno le loro. Tutte e quattro le nostre chiese sono rette da religiosi. Noi latini insieme agli armeni siamo le comunità più piccole». È infatti variegato il panorama delle Chiese cristiane in Iraq. Gli stessi cattolici si distinguono tra caldei, siro-cattolici, armeni cattolici, greci cattolici e latini. Poi ci sono gli ortodossi (a loro volta suddivisi in numerose comunità) e i protestanti. «Il dialogo comunque c’è – dice l’arcivescovo latino –, anche con protestanti e ortodossi. A febbraio, ad esempio, c’è stato un raduno di tutte le Chiese cristiane dell’Iraq e per la prima abbiamo parlato a una sola voce arrivando a decidere di fare qualcosa tutti insieme a favore dello sviluppo integrale della persona».

Un aiuto monsignor Sleiman se lo aspetta anche dai cristiani di casa nostra: «Ogni scambio – dice – è già di per sé un incoraggiamento, ma la Chiesa in Occidente deve incoraggiare la Chiesa in Iraq a prendere coscienza del proprio ruolo, dell’importanza che ha per tutti. L’Oriente cristiano esiste e può svolgere un ruolo molto positivo a servizio della pace, della coesistenza e dei rapporti culturali. La presenza cristiana nei Paesi arabo-islamici va protetta e sostenuta. Oggi dobbiamo capire una cosa importante: se si lascia l’islam da solo sarà peggio per tutti, finirà per dialogare con se stesso. I musulmani più illuminati ce lo chiedono già: non lasciateci soli».