Opinioni & Commenti

Dall’Avvento la pace possibile

DI GIUSEPPE SAVAGNONEAvvento è, nella tradizione cristiana, il tempo dell’attesa. Da sempre gli uomini percepiscono la soffocante ristrettezza del loro orizzonte quotidiano e sperano che un evento nuovo, imprevedibile, irrompa nella loro vita per trasformarla radicalmente. Ma che cosa possiamo attenderci, noi, in un mondo ancora scosso dall’attentato dell’11 settembre e tuttora minacciato dal terrorismo nelle sue variegate manifestazioni; in un mondo dove gli ultimi sussulti di una guerra sanguinosa non si sono del tutto placati, mentre già se ne preannunziano altre, non meno sanguinose? Di che cosa dobbiamo sperare la venuta, l’avvento?

Forse la prospettiva ormai non lontana del Natale ci può aiutare a dare una risposta: dobbiamo sperare che venga la pace. Ma così il problema è solo spostato, perché con questa parola si sono intese e si intendono cose abbastanza diverse. Di quale pace, dunque, dobbiamo restare in attesa? Secondo alcuni, non vi è alcun dubbio: la pace che vogliamo e che stiamo per realizzare è la liberazione dalla minaccia del terrorismo internazionale, che ha sanguinosamente segnato la storia di questi ultimi mesi. La strada è ancora lunga, ma possiamo essere fiduciosi. Le maggiori potenze del pianeta si sono finalmente trovate concordi nella scelta di sradicare una volta per tutte questa piaga, che da troppo tempo faceva sentire i suoi effetti perniciosi. Perciò – concludono i sostenitori di questo punto di vista –, è solo questione di tempo. E, alla fine, riavremo la nostra pace, con tutto ciò che essa comporta: sicurezza, libertà, prosperità. Tutto tornerà come prima dell’11 settembre, con la differenza che adesso saremo definitivamente al riparo da brutte sorprese.

Per altri, invece, il problema non è tanto il terrorismo, quanto la guerra che è stata scatenata per combatterlo e che in realtà costituisce, secondo loro, un rimedio peggiore del male. Ferma restando la condanna della strage di New York, è stato un errore, essi dicono, enfatizzare quest’ultima fino al punto di giustificare un intervento che rischia di trasformarsi in una crociata contro l’Islam e di dare luogo a un vero e proprio scontro di civiltà. Senza contare le vittime innocenti che ogni guerra non ha mai mancato di produrre e che sono ancora più numerose quando a colpire sono i micidiali strumenti di distruzione della tecnica moderna. La pace, perciò, secondo questo modo di vedere, può consistere solo nella rinunzia all’uso delle armi e nel ripristino delle situazioni anteriori all’attacco contro l’Afghanistan da parte degli Stati Uniti. Entrambi questi punti di vista contengono alcuni elementi di verità e sono degni di rispetto. Ma hanno il limite di non aprirsi con sufficiente coraggio al futuro. Quello che attendono è, in definitiva, un ritorno al passato. Come se tutto ciò che è accaduto fosse solo un brutto sogno da dimenticare. Come se la situazione anteriore all’11 settembre fosse un modello a cui tornare.

Bisogna avere il coraggio di dire che in realtà non è così. Si è discusso tanto di questa guerra, ci si è chiesti tanto se esistano guerre giuste, ma non ci si è domandati con altrettanta insistenza se vi possano essere paci ingiuste e se per caso quella che sta dietro le nostre spalle non fosse una di queste. Così si è finito per parlare dell’effetto senza guardare alla causa che lo ha generato. No, non possiamo sperare che torni quella pace. Perché essa garantiva la libertà e la sicurezza ad alcuni, ma al prezzo della schiavitù e della disperazione di molti altri.

L’attentato contro le torri di New York non ha alcuna giustificazione etica. Ma esso è stato la spia della tragedia che si stava consumando in molti paesi del mondo e di cui il terrorismo è l’espressione perversa. Sognare un puro e semplice ritorno a quella pace implicherebbe la negazione di quei valori cristiani a cui pure l’Occidente intende ispirarsi celebrando il Natale. Tanto meno l’attesa può concentrarsi sul mero abbandono dell’impresa militare. Come se l’inerzia di fronte alla minaccia che il terrorismo oggi rappresenta per milioni di persone innocenti – inclusi tanti musulmani moderati – potesse costituire una soluzione. In realtà, chi ha un po’ di conoscenza della storia sa che la passività di fronte alle aggressioni dei violenti ha solo prodotto una più grave violenza. In ogni caso, non è la mera assenza di guerra che può far fiorire la pace.

Quella di cui abbiamo bisogno, quella che l’Avvento può incoraggiarci ad aspettare con fiducia, è la pace che scaturisce dalla verità e dalla giustizia. Ma questa pace va costruita, con generosità e spirito di sacrificio. La sola sicurezza che i paesi ricchi possono avere è quella che verrà dalla loro capacità di rinunziare al superfluo per dare il necessario a chi muore di fame e di malattie curabilissime. Il solo antidoto al terrorismo non è una caccia armata che promette di essere davvero infinita (come suonava il primitivo nome dell’operazione militare), ma iniziative come la remissione del debito internazionale, come già aveva proposto il Papa in occasione del Giubileo. Questo – o altri analoghi – possono essere gesti veramente nuovi, che rompono con il passato e aprono il futuro. A questo dobbiamo tendere, con tutte le nostre forze. Perché l’Avvento sia veramente il tempo della speranza.