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Eluana, dalla Cassazione una sentenza di morte

di Claudio Turrini

O accettiamo che esistano persone di serie A e di serie B e allora per quest’ultime si può arrivare anche a interrompere l’alimentazione. Oppure diciamo che la vita è una, perché l’uomo o è vivo o è cadavere. E allora l’alimentazione e l’idratazione, ancorché artificiali costituiscono non delle terapie ma quel farsi carico della persona che è basilare». Per Riccardo Poli, esperto di bioetica e presidente regionale dell’Associazione Medici cattolici, in casi come quello di Eluana «l’etica deve tenersi lontana dalle risposte emotive». Perché di casi come il suo ce ne sono migliaia nel mondo. «Questo padre, al quale va tutta la nostra comprensione umana, non è la regola. La regola sono tutte quelle famiglie che non rinunciano a sperare e li accudiscono come persone malate».

Però per una famiglia il peso è grande…

«Non c’è dubbio che tante famiglie sono alla disperazione. Ma questi pazienti interrogano prima di tutto l’organizzazione della nostra sanità, perché hanno bisogno di un investimento dal punto di vista sanitario non indifferente».

Si può parlare, come fanno i giudici della Cassazione, di «stato vegetativo irreversibile»?

«I neurologi seri sono concordi nel dire che non c’è assoluta certezza sul fatto che questi pazienti non siano in rapporto con la realtà. Magari questa coscienza non è rilevabile con gli attuali strumenti. Oppure è rilevabile in modo imperfetto. Alcuni studi di risonanza magnetica, cosiddetta funzionale, hanno dimostrato che in alcuni di questi pazienti stimoli di dolore venivano registrati dal cervello anche se non a livello corticale come nella persona cosciente».

Ma ci sono delle «gradazioni» nello stato vegetativo?

«Prima si distingueva – convenzionalmente – tra lo stato vegetativo “persistente”, entro un anno dall’evento, e quello “permanente”. Poi ci sono stati alcuni casi di persone che sono tornate indietro anche dopo un anno e la distinzione è caduta. Oggi si parla solo di “stato vegetativo”».

Come li dobbiamo considerare allora?

«Quello di cui dobbiamo essere certi è che non sono cadaveri a cuore battente, cioè con una morte cerebrale totale. Sono persone al cento per cento, che hanno un grave disturbo cerebrale e che – dai rilievi medici – appaiono fortemente lontani dalla realtà che li circonda».

Per questi malati cosa comporta sospendere l’alimentazione e l’idratazione?

«Abbiamo davanti il caso di Terry Schiavo che c’ha messo 15 giorni per morire. Tutti erano convinti che non sentisse più nulla, poi però, per scrupolo, l’hanno sedata, il che vuol dire che qualche dubbio l’avevano».

Con Eluana siamo di fronte ad un altro caso Welby (nella foto)?

«Non c’entra nulla. Welby è morto della sua “malattia”. È morto perché la sua malattia gli paralizzava i muscoli respiratori. Eluana non morirebbe della sua malattia, ma di fame e di sete. Sarebbe un’eutanasia omissiva, cioè che non uccide, ma lascia morire per sospensione dell’alimentazione. Ed è dolorosissima».

Questi casi sono sempre più diffusi…

«Sono situazione nuove, dovute ai progressi della scienza. Quando non esisteva, ad esempio, un’alimentazione artificiale così avanzata, tante persone in stato vegetativo morivano. Cinquant’anni fa di paraplegici o tetraplegici ne sopravviveva un 20%, oggi siamo al 90%. E pongono problemi nuovi per la società: il reinserimento al lavoro, la famiglia, la sessualità, la riabilitazione… Come per loro si ragiona, giustamente, con grande attenzione di ausili o di telelavoro e ci si impegna perché continuino in una vita il più possibile normale così si deve fare per chi è in uno stato vegetativo».

Molti invocano l’introduzione del «testamento biologico».

«Tutto questo insistere sul testamento biologico è davvero un volere maggiore attenzione al paziente o è un modo surrettizio per introdurre nel nostro ordinamento una forma di eutanasia?».

Però potrebbe risolvere casi di questo tipo?

«A mio parere no. La volontà, sancita dalla Costituzione, di rifiutare le terapie è sacrosanta, ma è una volontà “attuale”, espressa “qui e ora”. Io dico che non voglio che mi taglino la gamba anche se mi hanno informato che senza quell’intervento muoio per la cancrena. Nessuno potrà mai legarmi ad un letto e tagliarmi la gamba. Ben altra cosa è una volontà pregressa. Nel testamento biologico dovrei prevedere miliardi di ipotesi che si potrebbero verificare. Potrei arrivare ad un determinato stato vegetativo per un coma, ma anche per una demenza senile, per una neoplasia… Poi c’è il ruolo del medico. A quel punto diventa il mero esecutore di una disposizione? Non ha voce in capitolo? Deve solo prendere quel testamento e applicarlo? C’è una libertà di coscienza anche del medico. Se io gli chiedo una cosa che lui in scienza e coscienza ritiene di non dover fare, non la fa».

Quindi è un «no» totale al «testamento biologico»?

«Se è semplicemente l’espressione di una volontà generica, tipo: voglio i conforti religiosi o voglio morire a casa, o non voglio forme di accanimento terapeutico, può andar bene. Però se io comincio a dire: “non voglio essere idratato e alimentato”, allora non è più un discorso generico di rifiuto dell’accanimento terapeutico… Sarebbe come se io potessi decidere, in caso di malattia incurabile, di ricevere la morte».

LA SCHEDAIl caso. Eluana Englaro aveva 19 anni quando il 18 gennaio del 1992, verso le quattro del mattino, la sua auto, si schiantò contro un muro nei pressi di Lecco. L’incidente le provocò lesioni alla corteccia cerebrale. Da allora è ricoverata in stato vegetativo, alimentata con un sondino nasogastrico, in una clinica di Lecco. Nel dicembre 1999 la Corte d’appello di Milano respinse una prima richiesta del padre-tutore, Beppino, di interrompere l’alimentazione artificiale. Stessa decisione il 16 dicembre 2006 sempre da parte della Corte d’Appello di Milano. Sentenza annullata, all’ottavo ricorso, il 16 ottobre scorso dalla prima sezione civile della Cassazione (Sentenza n. 21784) che ha chiesto di ripetere il processo in Corte d’Appello. Nella lunga sentenza, redatta dal primo presidente Vincenzo Carbone, i giudici pongono due condizioni perché possa essere concessa la sospensione dell’alimentazione artificiale, come chiede il tutore: che lo stato vegetativo sia davvero «irreversibile» e che ci siano «elementi di prova chiari, univoci e convincenti» che il paziente, prima di perdere la coscienza, la pensasse allo stesso modo. Una condizione, questa, che è stata fortemente criticata sul piano giuridico.

L’Intervento dell’«Osservatore Romano». «Accettare, pure nel vuoto legislativo, una tale posizione significa orientare fatalmente il legislatore verso l’eutanasia. Di più: introdurre il concetto di pluralismo dei valori significa aprire una zona vuota dai confini non più tracciabili. Significherebbe attribuire appunto ad ognuno una potestà indeterminata sulla propria esistenza dalle conseguenze facilmente immaginabili, anche solo ragionando dal punto di vista etico». Questo il duro giudizio sulla sentenza dell’«Osservatore Romano».

Il quotidiano della Santa Sede ricorda come «Nessun esperto potrebbe, allo stato attuale, dichiarare l’irreversibilità della condizione di stato vegetativo, se non in base ad una scelta puramente soggettiva. Sulla volontà di Eluana, poi, l’arbitrarietà appare palese. La dichiarazione di un momento non può evidentemente essere presa a parametro per presumere la volontà di una persona riguardo a scelte come quelle che riguardano la contrarietà o meno ad un trattamento che fra l’altro si pone al limite fra terapia e nutrizione».

Il commento di «Scienza & vita». «Preoccupata dalla palese strumentalizzazione di un caso umano per forzare la mano al legislatore», si è detta l’Associazione Scienza & Vita. In sostanza, osserva l’associazione, «pare di assistere ad una vera e propria invasione di campo o ad un pesante fallo di gioco perché con l’invito a ricostruire la volontà pregressa del malato, in realtà si tira la volata al testamento biologico che proprio in questo caso si manifesta per quello che è: l’anticamera dell’eutanasia. In tal senso, infatti, già si esprimono esponenti di spicco degli ambienti laicisti italiani».