Italia
Energia, gas e bollette: Italia più cara, pesa il fisco. Stipendi fermi dal 2008
Un'analisi a partire dai dati sono quelli forniti dai rapporti annuali per il 2024 dell’Arera e dell’Adapt

Qualche segnale positivo c’è, ma per le famiglie italiane il bilancio dell’andamento dei salari e del costo dell’energia è complessivamente negativo, soprattutto se rapportato al contesto europeo. I dati sono quelli forniti dai rapporti annuali per il 2024 dell’Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) e dell’Adapt (l’associazione di studi comparati sulle relazioni industriali fondata nel 2000 da Marco Biagi).
Contrariamente a quanto accaduto nel 2023, per la bolletta i consumatori italiani hanno pagato tariffe superiori del 5,3% rispetto alla media dell’area euro (due anni fa il raffronto era stato del -8,3%). I prezzi più alti sono stati raggiunti nei Paesi Bassi (16,8 c€/kWh) e in Portogallo (14,8 c€/kWh), mentre quelli più bassi in Ungheria (2,88 c€/kWh) e Croazia (4,62 c€/kWh).
Il prezzo medio del gas naturale (comprensivo di tutti gli oneri) per i consumatori domestici in Italia ha registrato, nello scorso anno, un aumento rilevante (+15,1%) raggiungendo i 13,1 centesimi di €/kWh. Soltanto in Germania il prezzo è stato più salato. Colpa soprattutto della componente fiscale che nel nostro Paese è la più elevata: +51% rispetto alla Francia, +36% rispetto alla Spagna e +18% in confronto alla media dell’area euro. Pesa ovviamente anche la fine di una serie di correttivi che erano stati messi in campo per tamponare la fase più critica.
Guardando alla situazione interna, l’aspetto più paradossale è che rispetto alle previsioni il mercato libero si è rivelato meno conveniente ed è il regime che è stato scelto dall’85% delle famiglie, tra cui 8 milioni di clienti considerati vulnerabili per età o condizioni economiche. C’è chi ha parlato non a torto di una “beffa”.
Uno spiraglio di luce per i conti degli italiani arriva dall’aumento del valore reale delle retribuzioni. È la prima volta che accade dagli anni segnati dalla pandemia. Merito del calo dell’inflazione e dal rinnovo di 44 contratti nazionali, che ha interessato un totale di 7 milioni e mezzo di lavoratori.
L’aumento è stato del 3% con incrementi medi compresi tra i 180 e i 240 euro. Il dato è senz’altro positivo e conferma l’importanza della contrattazione collettiva, ma va relativizzato sulla base dell’andamento dei prezzi che dal 2019 a oggi sono cresciuti del 17,4% mentre le retribuzioni solo del 9,1%. Con profonde disuguaglianze tra un settore e l’altro: nell’industria gli aumenti sono stati del 12,3%, nei servizi del 6,7%. Tra i contratti ancora in attesa di rinnovo spicca quello dei metalmeccanici, che da solo coinvolge circa un milione e mezzo di lavoratori. Nel complesso, l’Adapt stima una perdita in termini reali del 7,1% e del 10,9% se si restringe il confronto al periodo 2021-2023.
Allargando lo sguardo, rispetto alla crisi del 2008 gli stipendi reali sono addirittura più bassi di allora, secondo i calcoli dell’Organizzazione mondiale del lavoro. Dall’inizio degli anni Novanta, in Italia le retribuzioni sono praticamente rimaste ferme mentre in Francia e in Germania sono cresciute rispettivamente del 25 e del 20%.