Cultura & Società

Estate, la stagione nella quale rischiamo sul serio di riscoprire noi stessi

di Umberto Folena

Implacabili come ogni anno, arrivano le vacanze. Accade che le «facciamo» senza chiederci che cosa siano, a che cosa servano, se sia il caso di sperimentare modi nuovi di «farle». Accade che ci comportiamo automaticamente come si comportavano i nostri genitori e i nonni prima di loro. Accade che la cosa ci piaccia, ci rinfranchi, ci dia soddisfazione. Ma può accadere di ritrovarsi alla fine della vacanza assaporando un gusto amarognolo di insoddisfazione, di incompiutezza, perfino di stanchezza. Come se non avessimo davvero riposato…

Per curiosità, scriviamo su un motore di ricerca la parola «tempo». Le prime decine di siti suggeriti trattano di meteorologia; un altro pubblicizza dei fazzoletti di carta. Se poi proviamo con «riposo» o «vacanza», ecco infiniti suggerimenti su come spendere i soldi per andare in vacanza e riposarti, senza tema di fallire, presso strutture che hanno pagato per poter apparire ai primi posti nelle ricerche su internet.

Prima di scoprire qualcuno che suggerisca quale significato abbiano le parole «tempo», «riposo» e «vacanza», ce ne vuole. E questo dovrebbe farci sospettare che tempo, riposo e vacanze siano considerati contenitori vuoti da riempire, riempire ad ogni costo, perché se rimangono anche parzialmente vuoti vuol dire che non ti diverti, non ti adegui e stai «sprecando» tempo, riposo e vacanza.

Ma se fosse – almeno in parte, almeno per alcuni di noi – vero il contrario?

Qui di seguito spieghiamo perché il tempo «vuoto» ha un senso, nella società del «tutto pieno»; perché la vacanza (dal latino vacatio, sospensione o cessazione di qualcosa») va fatta; perché il riposo (in inglese rest) sia una conquista da strappare e conquistare e afferrare (to have a rest, to take a rest: così in inglese si traduce riposarsi) in libertà, senza adeguarsi a nessuna moda, rispondendo unicamente ai propri reali desideri.

«Quello delle vacanze è il periodo che consente ai dipendenti di ricordarsi che le aziende possono continuare senza di loro» (Earl Joseph Wilson).

C’è chi in vacanza tende a non andarci mai, vantandosene pure, nella convinzione che, senza di lui, il mondo crollerebbe. O meglio, più modestamente, l’azienda andrebbe in crisi. Naturalmente non è vero. Ce ne accorgiamo quando torniamo e constatiamo che tutto è andato avanti senza eccessivi problemi. Anziché deprimerci, rallegriamocene: è anche merito nostro se l’azienda è un orologio capace di marciare (quasi) da solo.

«Si aspira ad avere un lavoro per avere il diritto di riposarsi» (Cesare Pavese).

È proprio lui, lo scrittore. Quello di Lavorare stanca. Qui ci suggerisce che non lavorare per niente può stancare ancora di più. Si stressa chi va a tutto gas, si stressa pure chi è costretto a tenere il motore spento. Ma è anche il «Cesare perduto nella pioggia» cantato dal giovane De Gregori in Alice non lo sa. Voleva riposarsi, Cesare, svagandosi; ma aveva scelto la compagnia sbagliata, un «amore ballerina» che gli dà buca. Stress! Scegliamoci la compagnia giusta e non dimentichiamoci un cappello, un poncho, una mantella per ripararci dalla pioggia; e perfino dalle lacrime, vero Cesare?

«Quando un attore comico vuole fare una vacanza, recita in un ruolo drammatico» (Groucho Marx).

La vacanza sana è un tempo di discontinuità, in cui cambiamo pelle, orari, abitudini. Se viviamo e lavoriamo in una grande città, se la professione ci cattura per dodici ore al giorno sei giorni su sette, se – al contrario del grande Groucho – la nostra esistenza assomiglia a un dramma, facciamo i comici. Svuotiamo il tempo e fermiamoci a riposarci. All’inizio, forse, ci scopriremo attanagliati da un angoscioso senso di vuoto: l’angoscia va male, il vuoto va benissimo. Troppo abituati ai tempi pieni, pienissimi, a giornate in cui abbiamo sempre più cose da fare di quelle che riusciamo a fare, il tempo del riposo è un salutare vuoto in cui, perbacco, rischiamo seriamente di riscoprire noi stessi. Le persone che amiamo. Le cose che ci piacciono sul serio.

«Le uniche vacanze dell’uomo sono i nove mesi che trascorre nel grembo materno» (Frédéric Dard).

Affermazione drastica. Paradossale. Ma reale: nel grembo materno il tempo fluisce uguale, morbido e senza preoccupazioni. Riposo 24 ore su 24. Possiamo prendere l’invito così: in vacanza, collochiamoci nella condizione più simile possibile a quella del grembo materno. Cerchiamo un luogo, dei suoni, dei sapori morbidi e piacevoli. Lasciamo che il tempo fluisca senza lancette, felicemente vuoto. Sentiremo di possedere un corpo. E uno spirito. I pensieri si faranno più leggeri e limpidi. Forse in una vacanza così – mare montagna campagna casa propria: non ha importanza dove – scopriremo che cosa davvero conta, per noi. Che cosa davvero ci sta a cuore. E troveremo perfino la determinazione per perseguirlo…

«Essere in vacanza è non avere niente da fare e avere tutto il giorno per farlo» (Robert Orben).

C’è chi, di fronte a una simile prospettiva, si sentirebbe impazzire. Ha bisogno, lui, di programmare ogni minuto della sua vacanza esattamente come programma la sua giornata di lavoro. Nessun problema, faccia pure. La vacanza è libertà. Ma per alcuni giorni all’anno può essere un’esperienza straordinaria – lo ripetiamo – scoprire il fascino del «tempo vuoto». Se il mondo ci impone come unico valore la produzione; se l’uomo che più vale è l’uomo che più fa; se l’azione ha soffocato il pensiero; allora la vacanza vuota è propria degli spiriti rivoluzionari, che segnano un felice scarto, che sanno essere segni di contraddizione mettendo se stessi, e la società, di fronte alla propria insensatezza.

Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’» (Vangelo di Marco, 6,31).

Perfino gli apostoli si stancano. Ma, come umili travet o arroganti manager del XXI secolo, non osano dirlo. Non possono ammetterlo. Scherziamo? Chi si ferma è perduto e un uomo si misura sulla sua capacità di produrre; e di evangelizzare, perché il vizio dell’efficientismo s’insinua pure nella Chiesa. C’è chi guarda con sospetto al prete che al lunedì si prende un sacrosanto giorno di riposo, o addirittura va in vacanza, a meno che non siano vacanze di lavoro, insomma del lavoro travestito da vacanza, ma sempre lavoro, accidenti: una scusa per non riposarsi mai. Gesù se ne accorge e non solo invita i suoi amici a riposarsi, ma ci pensa lui: «Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte» (32). Sappiamo come va a finire. Male, e bene: la folla li segue lungo le sponde del lago con tale entusiasmo da dimenticarsi di portarsi dietro le vettovaglie. Riposo breve, sta per andare in scena la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Comunque l’insegnamento è chiaro: perfino Gesù auspica il riposo per chi è stanco. Ma non gli consiglia la discoteca…

Del tempo pieno, pienissimo, non sappiamo che farcene. Il tempo pieno ci comanda, non siamo certo noi a dargli ordini. Il tempo vuoto invece si può perfino regalare. La vacanza può essere una porzione di tempo vuoto che doniamo a noi stessi, anche soltanto per starcene a pancia all’aria a farci baciare dal sole, o ad osservare i rami di un albero e più oltre spicchi di cielo. Fermi senza fare nulla se non ascoltare il vento. Senza obblighi né orari né agenda.

Può essere del tempo che regaliamo a coloro a cui vogliamo bene: con i quali giocare, correre, camminare, nuotare, pedalare, restare fermi a raccontarsi storie e fantasie.

Il tempo pieno vale pochissimo: ce n’è un sacco, in giro, e tutti fanno di tutto per riempircelo. Il tempo vuoto invece è raro e quindi prezioso. Semplicemente riempirlo tanto per riempirlo, addirittura dando retta alle mode, vorrebbe dire ridurlo a tempo sciagurato.

Buon riposo vuoto, dunque. Vaghe vacanze vaganti.