Cultura & Società

Festa della mamma: suor Eliana, l’altro modo di essere “madre”

 È anche saper trasmettere i valori importanti della vita, anche nelle situazioni di difficoltà, come Eliana ha visto fare dapprima alla propria mamma, la signora Violette, attraverso i suoi occhi di figlia. «Quando leggo il libro dei Proverbi (31, 10-31), dove l’autore elogia la donna che teme il Signore, penso sempre a lei – racconta -. È stata una donna equilibrata, saggia e sapiente».Ad Haifa, Eliana viveva con la famiglia accanto al santuario della Madonna del Carmelo.«Eravamo l’unica famiglia cristiana di lingua araba in un contesto prevalentemente ebraico – spiega -: siamo stati sempre educati ad accogliere gli altri e a rispettarli, a convivere in pace e a prenderci cura di chi, accanto a noi, poteva aver bisogno d’aiuto, come gli anziani o i malati». «Mia mamma, poi, seppe tenere insieme la famiglia e mandare avanti la casa anche quando mio padre si ammalò a causa di un’emorragia cerebrale: io, che sono la figlia più grande, avevo 6 anni, la più piccola aveva 5 mesi. In mezzo c’erano un’altra sorella e mio fratello, piccoli anche loro».Violette non lavorava, all’epoca usava che le donne rimanessero a casa per prendersi cura della famiglia «e per un anno mio babbo ha avuto bisogno di essere assistito e curato in tutto. Con amore, è riuscita a non far mancare nulla né a noi, suoi figli, né alla nostra educazione, né al marito malato. Dopo il primo anno iniziò a lavorare fuori casa per portare a casa uno stipendio, dato che nostro padre non potette più lavorare, anche se rimase in vita per altri 22 anni dopo la malattia», dice.«So che ciascuno ha dei difetti, ma quando penso a mia mamma, non riesco a trovarne – racconta ancora madre Eliana -. Ci ha mostrato l’importanza dell’amore materno gratuito, che vive tutto con pazienza e sacrificio, senza lamentarsi o far pesare la propria situazione agli altri».Violette aveva conosciuto il futuro marito in ambienti di chiesa e si era sposata a 30 anni, in età matura.«Entrambi i miei genitori erano terziari carmelitani – prosegue madre Eliana – e avevano una devozione particolare per la Madonna, tanto che il babbo volle che il nome di Maria comparisse in tutti i nomi delle tre le figlie femmine. Si sposarono nel santuario mariano di Haifa, dove sia io che i miei fratelli siamo stati battezzati e, insieme al battesimo, abbiamo ricevuto lo scapolarino della Madonna del Carmelo».«È anche grazie a loro che ho potuto rispondere “sì” alla mia vocazione alla vita religiosa, che, come genitori, ha riguardato anche loro».«Sì» che ha portato Eliana da Haifa, dove aveva frequentato le carmelitane nelle loro scuole, a partire per Firenze, dove le suore di Santa Teresa della Croce, la «Bettina» di Campi Bisenzio, hanno la casa per la formazione. «I miei genitori erano tanto saldi e radicati nella fede e nell’amore che, nonostante la giovane età, avevo infatti 19 anni, e il dolore che il distacco poteva causare, mi lasciarono partire», racconta.Inizia così il suo viaggio nella vita di preghiera e apostolato delle carmelitane: «Ebbi anche la possibilità di studiare matematica all’università come avevo desiderato da giovane. Iniziai gli studi a Firenze e li terminai di nuovo a Haifa, dove tornai come suora per dieci anni per occuparmi della scuola e dell’accoglienza dei pellegrini al santuario».Poi di nuovo in Toscana: «Mi chiamarono a Livorno come responsabile della comunità religiosa, diventai poi vicaria generale e, dal 2019, madre generale della famiglia religiosa», racconta. «La vocazione alla vita consacrata è una vocazione alla verginità, ma anche alla maternità – dice madre Eliana -: se una suora non è anche madre, non può essere nemmeno una vera vergine. In più, quando si ha la responsabilità di una comunità o di una famiglia religiosa, questa maternità diventa una cosa primaria, necessaria».Il nome «madre generale», anche se a suor Eliana piace essere chiamata più semplicemente «madre», spiega già tutto: «la madre – sottolinea – è colei che sa accogliere tutti così come sono, sa accompagnare la comunità o l’Istituto, sa essere vicina, educare e consigliare, sa prendersi cura di tutti gli aspetti di ogni persona (fisico, psicologico e religioso) e sa promuovere e curare l’unità e la comunione tra le sorelle e tra le comunità nella famiglia religiosa, sia nelle comunità che sono in Italia che in quelle che sono in missione. Per questo cerchiamo di visitare spesso ogni comunità e di tenerci in contatto con le sorelle, per assicurarci che tutto proceda come il Signore vuole e nella serenità delle persone».«Anche la nostra fondatrice aveva un grande spirito materno – prosegue -. Quando accolse le prime orfane, raccomandava alle compagne che la seguirono di “essere mamme” per quelle bambine: insisteva tanto su questa prossimità e attenzione da avere verso i più piccoli. Anche nelle lettere alle comunità in missione scriveva che le venisse raccontato tutto ciò che accadeva, anche quel che poteva farla soffrire, perché come madre voleva sapere come stessero le proprie figlie e, se c’era qualche problema, voleva poterle confortare, aiutare e pregare per loro. Chiedeva loro di essere resa partecipe in tutto proprio con le parole “ve lo chiedo in carità”».Come madri, poi, «siamo chiamate a raggiungere l’equilibrio della “dolce fermezza” per poter correggere e aiutare le figlie, le sorelle e chiunque ci è vicino»,spiega.Non sempre è facile essere madre di così tante anime, perché «ogni persona è un mondo a sé, va vista nella sua unità, nel suo carattere e nel suo temperamento e, dall’altra parte, bisogna custodire anche la vita comunitaria. Si ha a che fare, poi, con persone di culture diverse, età diverse e caratteri diversi e, davanti alle difficoltà, è molto importante aiutare ciascuna a interrogarsi sul perché della propria scelta di vita. Guardando al nostro primo amore, tornando al primo entusiasmo, si riesce a camminare insieme e a progredire, tenendo lo sguardo fisso sull’essenziale». Tutto questo, avendo come punto di riferimento Maria, la Madre perfetta: «Come carmelitane abbiamo anche una devozione speciale per la Madonna – precisa madre Eliana -: è la madre che ha saputo ascoltare, accogliere e meditare nel proprio cuore la volontà di Dio. Ha vissuto la propria vita in un silenzio che parla, come la brezza sottile in cui Elia riconosce la presenza del Signore. È la Madre che sa essere attenta alla vita concreta dei figli, come alle nozze di Cana, e che è capace di vivere accanto a loro tutti i momenti della loro vita, sapendo anche soffrire in abbandono sotto la croce. È la Madre vicina, per cui, come diceva san Bernardo, dobbiamo invocarla sempre, specialmente quando viviamo qualcosa che ci dà disturbo».