Firenze

Festa di San Zanobi: Betori, “vegliare, scrivere, conoscere”

Nella parrocchia di Santa Maria a Scandicci la celebrazione dell'arcivescovo di Firenze in occasione di San Zanobi, patrono di Scandicci

Ecco il testo dell’omelia che è stata proclamata questo pomeriggio nella parrocchia di Santa Maria a Scandicci (FI), dal card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, nella Festa di San Zanobi, patrono di Scandicci.

Carissimi fratelli e sorelle, radunati nella festa di san Zanobi, patrono della vostra città, vorrei soffermarmi con su tre verbi che emergono con forza dalle letture di questa Messa: vegliare, scrivere, conoscere.

Vegliare. È il primo verbo, il verbo che, nella forma di un invito accorato, troviamo nella pagina tratta dagli Atti degli apostoli: “Vegliate!”. Quella che ci viene presentata dal capitolo 20 degli Atti è una scena di addio: Paolo a Mileto chiede di salutare per l’ultima volta gli anziani della Chiesa di Efeso. Giunti costoro a Mileto, li invita a vegliare: prima su loro stessi, poi sul popolo che è stato loro affidato. Il linguaggio è commosso, la situazione ha un forte carica emotiva: Paolo sa che non rivedrà più questi suoi collaboratori e consegna loro un’eredità spirituale e pastorale. Raccomanda loro un atteggiamento di custodia e di protezione: “Vegliate!”. “Vegliate”, come veglia una sentinella su una città. “Vegliate”, come veglia un buon padre di famiglia sulla propria casa. “Vegliate”, per essere segno di vicinanza e di prossimità di Dio nei confronti del suo popolo.

Scrivere. Un’altra immagine Paolo ci trasmette, questa volta all’interno della sua Seconda Lettera ai Corinzi. Paolo dice che lui, nei confronti della Chiesa di Corinto, non ha bisogno di lettere di raccomandazione. Non ne ha bisogno, perché «La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini» (2Cor 3,2). Loro stessi sono la raccomandazione di Paolo, perché il pastore porta iscritto nel proprio cuore il gregge, il pastore è segnato dal proprio gregge, il pastore sente nel proprio cuore le fatiche e le speranze del gregge. Per questo Paolo rivendica che non ha bisogno di lettere di raccomandazione: chi ha occhi, veda quello che è stato scritto nel cuore di Paolo dalla quotidiana offerta della propria vita in favore del popolo e di come quanti hanno creduto alla sua predicazione sono una testimonianza vivente della bellezza del Vangelo da lui annunciato!

Conoscere. È l’ultimo verbo su cui vorrei fermarmi e che prendiamo dalle parole di Gesù nella pagina del Vangelo di Giovanni. Questo verbo è riferito tanto al pastore quanto alle pecore: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me» (Gv 10,14). Ancora prossimità e vicinanza. Perché solo la prossimità e la vicinanza permettono di conoscere e di essere conosciuti: come accade al Buon Pastore, che è Gesù stesso. Essere conosciuti è il desiderio di tutti; tutti vorrebbero esclamare: “Ecco, finalmente! Qualcuno che mi conosce davvero…”. Sull’esempio di Gesù così è per il pastore nella Chiesa: conosce le proprie pecore e le pecore si sentono finalmente conosciute. Conosciute, cioè amate: perché conoscere è amare, e più si ama più si conosce.

Carissimi, questi verbi non sono un’idea astratta e lontana, un’immagine idealizzata di pastore. Oggi, noi celebriamo san Zanobi, un vescovo che questi verbi li ha vissuti. È il vescovo patrono della vostra città e, assieme a sant’Antonino, è il patrono della nostra diocesi. San Zanobi è stato pastore sollecito del gregge in un momento storico delicatissimo. Allora, era un po’ com’è per il nostro tempo: “non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”, per usare un’espressione cara a papa Francesco. Nel momento in cui l’Impero Romano stava terminando la propria storia, Zanobi è l’esempio di una Chiesa che si fa carico della comunità, di tutta la comunità. Zanobi è l’esempio di uomo di Chiesa che si fa prossimo a tutti: ai credenti e ai non credenti. Zanobi realizza così anche le altre parole di Gesù che compaiono nel Vangelo di oggi: «E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare» (Gv 10,16). Zanobi ha raccolto, ha avuto cura, ha custodito un gregge variegato e plurale. E noi, a distanza di così tanto tempo, lo vogliamo ricordare e celebrare. Ricordarlo e celebrarlo significa anzitutto assumere anche noi gli atteggiamenti che la parola di Dio ci ha suggerito: vegliare, cioè farci carico gli uni degli altri; scrivere, cioè esprimere nella propria vita una testimonianza leggibile del Vangelo; conoscere, cioè costruire una comunità che si alimenta dall’amore reciproco.

Oggi, in questa messa solenne, siamo radunati non solo per la festa di san Zanobi, ma anche per la dedicazione dell’altare di questa chiesa di Santa Maria. Questo altare da tempo è utilizzato come mensa della celebrazione eucaristica, ma oggi porta, per così dire, a perfezione la propria natura, di segno della presenza di Cristo, con l’unzione crismale e con l’inserimento delle reliquie dei martiri. Compito del vescovo è governare, è esortare e predicare, ma è anche santificare. È provvidenziale che nel giorno di san Zanobi io sia stato chiamato a dedicare l’altare di questa Chiesa, perché su ogni altare si celebra la salvezza di Gesù, quella salvezza che passa attraverso il dono del suo corpo e del suo sangue; dono che è la dimostrazione più grande della prossimità e della vicinanza del Buon Pastore. Qui – su questo altare, come su ogni altare – si celebra il mistero del dono d’amore di Gesù, perché «il buon pastore dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,11). Da qui si diffondono doni per la salvezza del popolo di Dio. Alimentarsi assiduamente al dono di grazia che proviene da questo altare, dall’Eucaristia che su di esso viene celebrata è dovere di ogni cristiano.

Carissimi, non posso salutarvi senza prima notare che la prima lettura di questa Messa riporta la frase che a suo tempo scelsi come mio motto episcopale: Deo et Verbo gratiae. Sono parole tratte da una frase che Paolo dice agli anziani di Efeso: «E ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati», At 20,32). Quello che mi sta a cuore ora è rinnovare a questa parrocchia, a tutto il vicariato e a tutta la comunità di Scandicci questo affidamento così accorato; come fu accorato in bocca a Paolo. Sul modello di quello che fece Paolo, salutando gli anziani di Efeso, anche io affido dunque tutti voi e ciascuno di voi a Dio e alla parola della sua grazia; al tempo stesso, nel momento in cui sto per concludere il mio servizio episcopale per la diocesi di Firenze, chiedo a voi di continuare ad affidare la mia persona a Dio e alla parola della sua grazia, per l’intercessione di san Zanobi.

Giuseppe card. Betori