Sport
Finalmente in Toscana la magia del mondiale
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La Toscana, terra in cui arrivano turisti da tutto il mondo, non ha finora riflettuto seriamente sulla possibilità (e sul beneficio economico derivante) di organizzare percorsi ciclabili idonei a far scoprire da un’insolita prospettiva molte delle sue località. Dovremmo andare a imparare all’estero, per esempio sui percorsi lungo il Danubio dove si può pedalare per giorni sostando in ostelli dedicati ai ciclisti, o alla bella pista lungo la Drava che collega San Candido a Lienz (con la possibilità di ritornare in treno, dopo aver riconsegnato la bicicletta noleggiata… trovata che ha dato origine a un business notevole!). Perché non creare qualcosa di simile lungo l’Arno, da Firenze a Pisa e anche fino al mare, sfruttando argini e golene che in molti casi nascondono ancora gli antichi viottoli?
Ma ci sarebbe un terzo ordine di motivi per «sopportare» di buon grado i disagi procurati dal mondiale: il messaggio che il ciclismo è in grado di trasmettere. O che è stato in grado di trasmettere, considerando purtroppo il doping che ha infangato questo e altri sport. Adesso c’è (lo assicurano gli addetti ai lavori, però guai abbassare la guardia!) più pulizia, i controlli più severi e il passaporto biologico aiutano a eliminare le mele marce. Però una cosa fa pensare e non lascia tranquilli: tra gli attuali direttori sportivi (ruolo equivalente a quello dell’allenatore in altri sport) ci sono diversi ex-atleti che, quando correvano, subirono squalifiche anche pesanti per positività all’antidoping. Ciò detto, il ciclismo è bello: la corsa in gruppo, le fughe da lontano, le volate mozzafiato, la scalata delle montagne più impervie sono racconti affascinanti, soprattutto quando lo scenario è un mondiale o un grande giro. Storie di vittorie e sconfitte, di passioni e fatiche che hanno dato vita alla leggenda dei «giganti della strada».
Continua il racconto del Ballini: «Vinsi davvero, con quattro minuti e mezzo di vantaggio sul secondo arrivato, la prima e unica gara della mia carriera sportiva». E nel ’50, in occasione del Giubileo, il futuro priore di Barbiana andò in bicicletta a Roma con un gruppo dei suoi ragazzi, dopo aver chiesto al vescovo il permesso di non indossare la talare per pedalare meglio e sudare un po’ meno.