Toscana

Fine vita, arrivano i «Dat»

di Claudio Turrini

Il nome è lungo e complesso. «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento» (Dat). Riguarda quei documenti con i quali una persona, dotata di piena capacità, esprime per tempo la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui non fosse più in grado – per un incidente o una malattia – di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato. Ma per favore non dite che è una legge «cattolica».

Questa legge non è di destra, né di sinistra. Non è cattolica, né laica. È il tentativo, sofferto e forse anche «pericoloso», di dare risposte «umane» agli interrogativi che una scienza sempre più potente e talvolta anche spietata, pone a familiari e amici di chi è arrivato alle soglie del fine vita o comunque non è più in grado di decidere quali cure ricevere. Ai cattolici preme solo ribadire l’inviolabilità e l’indisponibilità della vita umana, così come il rispetto della dignità di ogni malato. E su questa linea trovano la convergenza anche di tanti «laici». Come dimostra il dibattito di questi giorni alla Camera, con emendamenti approvati o respinti – con voto segreto – quasi sempre a larghissima maggioranza.

Certo, i cattolici di tutti gli schieramenti si sono spesi molto per questa legge, dopo le tristi vicende del «caso Englaro». E gli stessi vertici della Conferenza episcopale italiana hanno detto parole chiare. Nella prolusione al Consiglio permanente Cei del 28 marzo 2011, il cardinale Angelo Bagnasco fu molto esplicito nel ritenere «che una legge sulle dichiarazioni anticipate di fine vita è necessaria e urgente. Si tratta infatti di porre limiti e vincoli precisi a quella “giurisprudenza creativa” che sta già introducendo autorizzazioni per comportamenti e scelte che, riguardando la vita e la morte, non possono restare affidate all’arbitrarietà di alcuno. Non si tratta di mettere in campo provvedimenti intrusivi che oggi ancora non ci sono, ma di regolare piuttosto intrusioni già sperimentate, per le quali è stato possibile interrompere il sostegno vitale del cibo e dell’acqua». «Chi non comprende – si chiedeva ancora il presidente dei vescovi italiani – che il rischio di avallare anche un solo caso di abuso, poiché la vita è un bene non ripristinabile, non può non indurre tutti a molta, molta cautela? Per rispettare la quale è necessario adottare regole che siano di garanzia per persone fatalmente indifese, e la cui presa in carico potrebbe un domani – nel contesto di una società materialista e individualista – risultare scomoda sotto il profilo delle risorse richieste».

Una linea fatta propria da un nutrito gruppo di intellettuali cattolici, attraverso una «dichiarazione» che anche Toscana Oggi ha pubblicato ai primi di marzo (Fine vita, «paletti» necessari), in vista della ripresa dell’iter parlamentare alla Camera, poi slittato per evitare strumentalizzazioni durante la campagna elettorale. Il testo dell’appello, che porta tra gli altri le firme di donVinicio Albanesi, Dino Boffo (direttore TV2000), Paolo Bustaffa (direttore del Sir), Francesco D’Agostino (giurista), Giuseppe Dalla Torre (giurista e direttore del Lumsa), Lorenzo Ornaghi (rettore dell’Università cattolica), Antonio Sciortino (direttore di «Famiglia cristiana»), Antonio Socci, Marco Tarquinio (direttore di «Avvenire») e Francesco Zanotti (presidente della Federazione settimanali cattolici), afferma che «il ddl è una proposta ragionevole, condivisibile, realmente liberale e oggi non più rinviabile». E che pur essendo migliorabile va approvato «in tempi rapidi» perché così, «diventerebbe sempre più difficile drenare una giurisprudenza orientata a riconoscere il “diritto” a una morte medicalmente assistita, in altre parole all’eutanasia trasformata in atto medico».

Anche nel mondo cattolico non tutti però la pensano allo stesso modo. Le perplessità – di cui diamo conto anche in questa pagina con l’intervento di Aldo Ciappi, presidente dell’associazione Scienza&Vita e dei giuristi cattolici di Pisa – riguardano soprattutto l’efficacia concreta delle norme. Tra i «perplessi» il filosofo Vittorio Possenti, che è intervenuto sul «Corriere della Sera» del 23 gennaio scorso. Anche Antonio Pessina, direttore del centro di bioetica dell’Università Cattolica, pur condividendo i principi ispiratori del disegno di legge, avanza dubbi sul fatto che davvero si ottenga l’effetto sperato introducendo un riconoscimento giuridico delle direttive anticipate, che già ora potevano essere «prese in considerazione» dai medici. Con il rischio di togliere i vincoli attualmente presenti e aprire le porte sia all’eutanasia, sia al suicidio assistito. Cosa prevede la legge | Sei favorevole o contrario? Vai al sondaggio

Tutto è iniziato con il dramma di EluanaEluana Englaro è morta lunedì 9 febbraio 2009, alle 19,35, nella clinica «La Quiete» di Udine dove si trovava dal 3 febbraio. Da tre giorni le erano state sospese alimentazione e idratazione, ma la morte è stata più repentina del previsto. Eluana era entrata in coma il 18 gennaio 1992, a 19 anni, per un incidente stradale. Un anno dopo veniva dichiarata in stato vegetativo permanente.

Nel 1994 entra nella casa di cura di Lecco «Beato L.Talamoni», dove è assistita con amore dalla suore misericordine. Deve essere alimentata con un sondino nasogastrico e idratata. Nel gennaio 1999 Beppino Englaro chiede di sospendere l’alimentazione artificiale, ma il Tribunale di Lecco dice di no. La Corte d’Appello di Milano dice no per altre 7 volte alle richieste del padre. Ma il 9 luglio 2008 la Corte d’Appello di Milano autorizza la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione. Il 3 settembre la famiglia chiede alla Regione Lombardia una struttura per eseguire il decreto, ma la Regione dice no. L’8 ottobre 2008 la Corte Costituzionale dà ragione a Cassazione e Corte d’Appello e il 14 novembre la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso della Procura, rendendo così definitivo il decreto della Corte d’Appello. Il 16 dicembre il ministro della Salute invia un atto a tutte le strutture del SSN secondo cui sarebbe illegale negare l’alimentazione a persone in stato vegetativo.

Il 2 febbraio Eluana viene trasferita alla clinica privata «La Quiete» di Udine, dove morirà. La notizia arriva al Senato mentre era in corso il dibattito per l’approvazione del disegno di legge del governo che avrebbe dovuto impedire la sospensione dell’alimentazione e idratazione ai malati. Il disegno di legge, che ricalcava il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri venerdì 6 febbraio e non firmato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, era composto da un solo articolo che recitava così: «In attesa dell’approvazione di una completa e organica disciplina legislativa in materia di fine vita, l’alimentazione e l’idratazione, in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi». Il secondo comma stabiliva l’entrata in vigore della norma il giorno stesso della sua pubblicazione. Il disegno di legge è stato poi trasformato in una mozione, approvata con 159 sì e 104 no. Nel Pd votarono a favore Francesco Rutelli, Lucio D’Ubaldo, Emanuela Baio e Claudio Gustavino.

APPROVATA LEGGE SUI DAT: COMMENTI POSITIVI DA SCIENZA E VITA, FORUM FAMIGLIE E MPV

Contrario: Il presidente di Scienza & Vita di Pisa e Livorno spiega perché sono norme pericolosedi Aldo Ciappipresidente dell’Associazione «Scienza & Vita» di Pisa e Livorno

Come vorrei anch’io poter aderire all’esultanza del relatore Di Virgilio (Pdl) della proposta di legge sulle Dat di imminente approvazione con modifiche alla Camera dei Deputati e rinvio al Senato per la definitiva conferma, nell’intervista di domenica 10 luglio su «Avvenire»! Ma non ci riesco.

Comprendo umanamente che egli tenga molto a vederne la luce, ma, come in altre occasioni ho avuto modo di ricordare facendomi scudo dell’opinione di ben più autorevoli commentatori, il contenuto della legge, nonostante gli ottimi proclami di cui agli artt. 1 e 2, suscita, ahimè, molte perplessità.

La maggior parte del mondo cattolico, ma anche esponenti di altre culture, dopo aver dovuto assistere inermi alla condanna a morte per sete e fame di Eluana Englaro – animati dal desiderio di scongiurare altri casi del genere – hanno finito per cadere nel tranello loro teso proprio dalla navigata rete radicale, formata da giuristi, intellettuali, magistrati ecc. i quali, pur restando infima ma agguerrita minoranza, passo dopo passo sta portando l’Italia al livello del peggiore relativismo sociale e giuridico di paesi come l’Olanda, il Belgio, il Regno Unito, da tempo avviati verso la piena legalizzazione dell’eutanasia.

È avvilente constatare come l’esperienza recentissima della demolizione per via giurisprudenziale della Legge 40/04 sulla procreazione artificiale – una legge, si badi bene, in qualche maniera resasi necessaria in assenza di qualsiasi precedente regolamentazione della materia – non abbia insegnato niente ai rappresentanti politici (e, purtroppo ma lo devo dire, anche al clero) che si richiamano ai principi della difesa della vita senza se e senza ma.

Infatti, la sentenza che aprì all’uccisione di Eluana rappresenta un precedente, pur molto grave, in questa materia tuttavia non in grado di scalfire norme giuridiche solide come quella che punisce l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.). Si è trattato cioè di un (gravissimo) errore giudiziario che non va oltre il caso concreto. Vi sono, infatti, molte sentenze della stessa Cassazione che ribadiscono principi contrari per cui, per esempio, il consenso, o il dissenso, informato a determinati trattamenti sanitari deve essere sempre attuale e mai tratto (come nel caso di Eluana) da elementi presuntivi, o che non si può «aiutare» le persone che chiedono di essere uccise.

Ciò che invece si va ad introdurre con la nuova legge è il principio, in sè molto rischioso, di riconoscere una qualche validità, seppure circostanziata, a dichiarazioni, positive o negative, relative ad ipotetici trattamenti sanitari rese da soggetti di regola non dotati di particolari competenze e in normali condizioni di salute per l’ eventualità, futura ed incerta, in cui essi, venissero a trovarsi in uno stato di incapacità di esprimere tale consenso o dissenso.

Rischioso perché non vi è alcuna certezza che ciò che si dichiara oggi corrisponda alla propria effettiva volontà nel momento in cui si avverasse la condizione. Ci sono casi noti all’esperienza clinica (cfr: www.webmm.ahrq.gov/case.aspx?caseID=25) di persone che essendo scampate per puro caso alle proprie Dat hanno dichiarato che non le avrebbero mai scritte se avessero potuto rappresentarsi correttamente la situazione concreta in cui si sono in seguito trovati.

La nuova legge sulle Dat (di cui nessuno sentiva veramente il bisogno) servirà soltanto come tiro al bersaglio da parte di certa ormai ben nota schiera di magistrati per demolirne, come già avvenuto per la Legge 40, gli aspetti inevitabilmente contraddittori di essa (da una parte si vorrebbe ristabilire la sacralità della vita, anche la più debole, ma dall’altra si afferma il diritto, sebbene circoscritto, all’autonomia soggettiva del paziente contro un presunto accanimento terapeutico posto in essere da parte della classe medica, di cui, tuttavia, non si riesce pressoché a trovare traccia nella prassi) per far prevalere, alla fine, il secondo, ossia il principio dell’autodeterminazione sopra ogni altro fino all’estrema, coerente conseguenza rappresentata dal «diritto» al suicidio e, dunque, alla legittima soppressione dei malati che «chiedono» (!?) di essere eliminati.

Cosa prevede la legge