Sanità
Fine vita, padre Bormolini: la spiritualità come cura
Da oltre vent’anni padre Guidalberto Bormolini accompagna i malati terminali, offrendo sostegno spirituale anche a chi non si riconosce in una religione. Con la Fondazione «Tutto è Vita» insieme le Asl toscane, ha avviato un percorso unico in Italia: l’inserimento di assistenti spirituali aconfessionali nelle équipe delle cure palliative

«Il malato vive come un monaco, si ritira dal mondo, sta attento a quello che mangia e non perde tempo. Accogliere la malattia può essere l’occasione per rivolgersi all’interiorità». Padre Guidalberto Bormolini da tempo è impegnato nell’accompagnamento verso il fine vita e lo fa da venti anni attraverso l’associazione Tutto è Vita, da poco diventata fondazione. Con l’Asl Toscana Centro e con quella Nord Ovest ha stipulato una convenzione per garantire la presenza negli hospice di un assistente spirituale aconfessionale inserito nelle equipe di cure palliative. Una figura prevista dalla legge in materia e formata a una scuola specifica aperta a Prato, unico esempio del genere in Italia.
Padre Bormolini, chi è l’assistente spirituale inserito nell’equipe delle cure palliative?
«Una persona che ha il compito di offrire percorsi e sostegno al malato, per svegliare una spiritualità sopita o per farla incontrare a chi non l’ha mai incontrata. È un vero e proprio percorso di cura, non lo diciamo noi, ma la letteratura scientifica internazionale. Si tratta di un servizio che risponde a un bisogno reale, sta crescendo il numero di persone non cattoliche che chiedono assistenza spirituale nei tempi ultimi della vita».
La proposta di un percorso spirituale come viene accolta dentro gli hospice?
«Le richieste sono molte, rispetto al passato c’è meno diffidenza da parte dei malati. Il bisogno spirituale fa parte dell’esperienza umana, l’annuncio religioso viene dopo, quella che offriamo noi è l’esperienza dell’invisibile, del trascendente, che certamente può essere vissuta dentro una religione. Oggi purtroppo si vendono esperienze spirituali che in realtà non lo sono».
Ci faccia un esempio per capire.
«Spesso si confonde la spiritualità con le emozioni, che invece è psiche. Noi siamo corpo, psiche e spirito. Lo dice anche l’Organizzazione mondiale della sanità».
Il vostro apporto in cosa si differenzia dal ministero svolto dal cappellano?
«Il cappellano ha un altro ruolo ed è fondamentale e non può essere sostituito, anche in presenza dell’assistente spirituale. Se un malato non è cattolico, non è una persona di fede, chi si occupa della sua dimensione spirituale? A questo pensiamo noi».
In cosa consiste il percorso offerto da un assistente spirituale all’interno delle cure palliative?
«Lavoriamo tenendo presente alcuni aspetti. La trascendenza, in Africa dicono: dove c’è il cielo c’è Dio. Altro aspetto è il senso, la direzione, come la stella polare nel buio della notte. L’invisibile, perché l’essenziale è invisibile agli occhi, come dice il Piccolo Principe. Poi la comunione profonda, perché quando ci si avvicina alla morte spesso ci sentiamo vicini a un grande tutto. È un’esperienza che spaventa, difficile da raccontare a un operatore qualsiasi».
Ogni anno nella vostra scuola per assistenti spirituali nelle cure palliative passano quaranta allievi. Quelli in servizio attualmente sono cinque negli hospice dell’Asl Toscana Centro e sette nell’Asl Nord Ovest. Quando verificate il lavoro, cosa raccontano?
«Si chiedono sempre: chi ha ricevuto il dono? Chi sta morendo o io che gli sto a fianco? Ci dicono che sono loro, i malati, a insegnare il senso della vita. Quando il corpo perde senso è allora che capisci l’importanza dell’invisibile. Dobbiamo capire la prevalenza dell’invisibile sul visibile. In alcune culture si dice che la malattia è un dono divino per indicarti dove investire. Se il corpo fosse perfetto si potrebbe pensare che la vita è il corpo, invece il corpo cade a pezzi ed è allora che si capisce l’importanza di investire nell’anima, che invece non va in pezzi».
Recentemente l’opinione pubblica è rimasta colpita dalla video testimonianza di Laura Santi, la donna perugina malata di sla che ha scelto il suicidio medicalmente assistito. Cosa possiamo rispondere a chi chiede libertà di scegliere la morte?
«La libertà per un cristiano è fondamentale, lo sappiamo bene, siamo stati odiati fin dai tempi dei romani perché dicevano che tutti siamo figli di Dio e non solo l’imperatore. Però possiamo dire che accettare fino in fondo la scommessa di cosa un corpo può dire fino all’ultimo respiro, per orientarci ad altro, è una sfida troppo importante. Quando si sconta un dolore insopportabile ci sono le cure palliative, che prevedono anche la sedazione, una pratica che la Chiesa riconosce come cosa lecita e buona. Fino a che non arriviamo a questo scoglio vale sempre la pena di amare e di lasciarsi amare».