Cultura & Società

Firenze, la «Dafne» al Maggio fa rivivere la nascita dell’opera

Sardelli è una garanzia per diversi motivi, sia musicali sia musicologici. Non solo ha saputo scientemente recuperare le musiche, ma ha anche scelto la versione contenente i sei balli, che ha strumentato con correttezza filologica. Sardelli ha anche dalla sua un gruppo strumentale d’eccellenza, «Modo Antiquo», che è gruppo, sì, ma che in realtà è un insieme di tanti bravissimi solisti, in primis Bettina Hoffmann (viola da gamba e lirone) e Giulia Nuti (cembalo, organo, flauto), ma anche Ugo Galasso (fiati), David Brutti (cornetto), Mauro Morini (trombone), Ann Fierens (arpa), Sabine Cassola (violone e flauto), Francesco Olivero (tiorba e chitarra) e Stefano Tamborrino (percussioni).

Le scelte dei cantanti sono state più che convincenti, in particolare per Ovidio/Apollo (Leonardo Cortellazzi), Dafne (Francesca Boncompagni), Tirsi (Alessio Tosi) e Amore (Silvia Frigato). Il connubio del cast di «Modo antiquo» (arricchito anche dagli ottimi violini di Anna Noferini e Luigi Cozzolino, di Musica Antiqua del Maggio Musicale Fiorentino) e del suo direttore hanno restituito la vera Dafne in una cornice che più adeguata non si poteva, la Grotta del Buontalenti di Boboli, che ha consentito al pubblico di rivivere l’atmosfera dell’opera delle origini, che non veniva rappresentata nei teatri, ma nelle residenze dei signori e dei potenti mecenati, quindi in spazi privati e raccolti.

La regia e le scene di Gianni Alverta (valorizzate dai costumi di Sara Marcucci e dalle luci di Alessandro Tutini), tese a offrire una lettura attualizzata, di denuncia della violenza alle donne, ha il pregio di essere scorrevole, raffinata e ben supportata anche dai bravi ballerini (Elena Barsotti, Gaia Mazzeranghi, Pierangelo Preziosa, Paolo Arcangeli, Cristiano Colangelo) e dalle coreografie di Silvia Giordano.

L’allestimento del Maggio diretto da Saverio Santoliquido si è avvalso anche di un programma di sala che è una pubblicazione scientificamente preziosa e di elevata qualità. Ma più di ogni cosa dobbiamo essere grati perché finalmente si è potuta rivedere una delle prime opere della storia di questo genere, che ha avuto origine proprio a Firenze e dei cui primi titoli è rarissimo vedere degli allestimenti. Un musicista e studioso come Sardelli è quindi anche una speranza: dare il via a un progetto di allestimenti di questi «recitar cantando» che divennero gradualmente melodrammi, che si diffusero a macchia d’olio nel mondo per oltre tre secoli. E che lui sa riproporre così bene.