Cultura & Società

Firenze, successo al Maggio per l’oratorio di Mendelssohn su San Paolo

Ottime le voci dei solisti (il soprano Valentina Farcas, il mezzosoprano Anke Vondung, il tenore Christian Elsner e il basso Roman Trekel, che nella prima parte è stato affiancato da un basso II, Diego Barretta, membro del Coro del Maggio), che hanno interpretato i ruoli di Ananias, Santo Stefano, Barnaba, San Paolo, due falsi testimoni e del Narratore. Quest’ultimo è un ruolo fondamentale nella forma musicale dell’oratorio, che è una sorta di melodramma senza scene e costumi e con soggetto librettistico sacro, che ha sempre avuto una sua vita parallela a quella dell’opera e ha incontrato l’apprezzamento di tutte le classi sociali (a Roma, nel Seicento, anche vescovi e cardinali scrivevano libretti per gli oratori in musica).

Generalmente il Narratore è uno solo, ed è, appunto, il personaggio che racconta la storia del protagonista dell’oratorio.Nel caso del Paulus il ruolo di Narratore è stato svolto ora dal soprano ora dal tenore, in un caso anche dal quartetto dei solisti, a dimostrazione del fatto che Mendelssohn ha ridato vita a questo genere, rivisitandolo, però, alla luce sia della sua esperienza religiosa personale, sia di quella musicale. Circa la prima è molto evidente che egli trasfonde nella storia della conversione di Paolo la sua personale conversione (o meglio, quella della sua famiglia) dalla religione ebraica (riconoscibile nel cognome Mendelssohn) al protestantesimo (descritto dall’aggiunta del cognome Bartholdy).

Circa le esperienze musicali, è noto che a lui  si debba la riscoperta di Johann Sebastian Bach, del quale Mendelssohn, a vent’anni, ripropose la  Passione secondo Matteo. Non è solo Bach che si percepisce nella partitura del Paulus ,  ma anche Haendel con la sua grandiosa polifonia è ben presente. Non mancano momenti più lirici, soprattutto nelle parti solistiche, nelle quali la linea melodica che descrive i personaggi cristiani o convertiti al cristianesimo, è intrisa di una tale liricità che fa percepire chiaramente il maggior coinvolgimento dell’autore proprio sotto l’aspetto della fede. La stesura del libretto coinvolse anche lo studioso di cultura ebraica Fürst, che, con Schubring, dette vita all’azione, che parte dal martirio di Santo Stefano per mano di Ebrei fanatici, tra i quali, appunto, Saluto di Tarso, che continua a dichiarare di voler perseguitare la comunità cristiana di Siria.

Mentre, dunque, si sta recando in Siria, vede la luce di Gesù e perde la vista per tre giorni, durante i quali si converte al Cristianesimo e diventa poi lui stesso un perseguitato, sia degli ebrei sia dei Pagani. Decide quindi di lasciare Efeso e tornare a Gerusalemme, anche se sa che lì troverà il martirio. Nel rivestimento musicale della storia di Paolo, Mendelssohn ha dato un ruolo fondamentale al coro, che alterna parti corali più semplici ad altre di maggior coinvolgimento lirico-melodico, fino a quelle più solenni e di complicata polifonia di stampo haendeliano. Coro che ha dato una prova magistrale della sua bravura, grazie anche al suo maestro, Lorenzo Fratini, che ha preparato anche il bravo coro delle voci bianche.

A Luisi il plauso per la direzione, come sempre pertinente, raffinata e molto equilibrata nella gestione della tavolozza sonora di voci e strumenti, con la quale ha perfettamente restituito non solo la storia di Paolo di Tarso, ma anche la solennità religiosa del finale, un inno splendente e trionfante alla grandezza di Dio