Vita Chiesa

Francesco al Corpo diplomatico: aprirsi alla cultura dell’incontro

Urgono politiche per famiglie lacerate e divise. «La fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia», che «per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore» e «contribuire a far maturare quello spirito di servizio e di condivisione che edifica la pace». A ricordarlo è stato il Papa, che nel tradizionale incontro con il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per gli auguri del nuovo Anno, ha esordito citando il suo Messaggio per la Giornata mondiale della Pace e ha citato il presepe, «dove vediamo la Santa Famiglia non sola e isolata dal mondo, ma attorniata dai pastori e dai magi, cioè una comunità aperta, nella quale c’è spazio per tutti, poveri e ricchi, vicini e lontani».

«Il lessico familiare è un lessico di pace», ha detto Papa Francesco sulla scorta del suo predecessore, Benedetto XVI: «Purtroppo- ha però aggiunto – spesso ciò non accade, perché aumenta il numero delle famiglie divise e lacerate, non solo per la fragile coscienza del senso di appartenenza che contraddistingue il mondo attuale, ma anche per le condizioni difficili in cui molte di esse sono costrette a vivere, fino al punto di mancare degli stessi mezzi di sussistenza». Di qui la necessità di «politiche appropriate che sostengano, favoriscano e consolidino la famiglia».

Non emarginare gli anziani, investire sui giovani. Oggi gli anziani sono «considerati un peso», mentre i giovani «non vedono davanti a sé prospettive certe per la loro vita». Al contrario, «anziani e giovani sono la speranza dell’umanità», perché «i primi apportano la saggezza dell’esperienza» e «i secondi ci aprono al futuro, impedendo di chiuderci in noi stessi». Lo ha ribadito il Papa, incontrando per la seconda volta, dopo l’udienza concessa poco dopo l’elezione, il Corpo diplomatico. Il Papa ha affermato che da una parte «è saggio non emarginare gli anziani dalla vita sociale per mantenere viva la memoria di un popolo», dall’altra «è bene investire sui giovani, con iniziative adeguate che li aiutino a trovare lavoro e a fondare un focolare domestico». «Non bisogna spegnere il loro entusiasmo!», ha ammonito il Papa citando l’esperienza della Gmg di Rio, di cui conserva un «ricordo vivo»: «Quanti ragazzi contenti ho potuto incontrare! Quanta speranza e attesa nei loro occhi e nelle loro preghiere! Quanta sete di vita e desiderio di aprirsi agli altri!».

Sì a cultura dell’incontro. «La chiusura e l’isolamento creano sempre un’atmosfera asfittica e pesante, che prima o poi finisce per intristire e soffocare». Ne è convinto il Papa, che nel discorso al Corpo diplomatico ha auspicato «un impegno comune di tutti per favorire una cultura dell’incontro, perché solo chi è in grado di andare verso gli altri è capace di portare frutto, di creare vincoli di comunione, di irradiare gioia, di edificare la pace». «Lo confermano – ha proseguito Papa Francesco – le immagini di distruzione e di morte che abbiamo avuto davanti agli occhi nell’anno appena trascorso». «Quanto dolore, quanta disperazione causa la chiusura in sé stessi, che prende via via il volto dell’invidia, dell’egoismo, della rivalità, della sete di potere e di denaro!», ha esclamato il Papa. «Sembra, talvolta, che tali realtà siano destinate a dominare», ha ammesso subito dopo: il Natale, invece, «infonde in noi cristiani la certezza che l’ultima e definitiva parola appartiene al Principe della Pace, che muta le spade in vomeri e le lance in falci e trasforma l’egoismo in dono di sé e la vendetta in perdono». «È con questa fiducia che desidero guardare all’anno che ci sta di fronte», ha assicurato il Papa.

Porre fine al conflitto in Siria. «Non cesso di sperare che abbia finalmente termine il conflitto in Siria». È il primo Paese citato dal Papa nel discorso al Corpo diplomatico, in cui ha ricordato la giornata di preghiera e di digiuno di settembre e ha chiesto «una rinnovata volontà politica comune per porre fine al conflitto», auspicando che «Ginevra 2», convocata per il 22 gennaio, «segni l’inizio del desiderato cammino di pacificazione». Nello stesso tempo, «è imprescindibile il pieno rispetto del diritto umanitario»: «Non si può accettare che venga colpita la popolazione civile inerme, soprattutto i bambini», il grido d’allarme del Papa, che ha incoraggiato «tutti a favorire e a garantire, in ogni modo possibile, la necessaria e urgente assistenza di gran parte della popolazione, senza dimenticare l’encomiabile sforzo di quei Paesi, soprattutto il Libano e la Giordania, che con generosità hanno accolto nel proprio territorio i numerosi profughi siriani». Tra i punti caldi, il Papa ha citato il «protrarsi delle difficoltà politiche in Libano, dove un clima di rinnovata collaborazione fra le diverse istanze della società civile e le forze politiche è quanto mai indispensabile per evitare l’acuirsi di contrasti che possono minare la stabilità del Paese». Anche in Egitto e in Iraq serve «una ritrovata concordia sociale», mentre sono «significativi» i progressi nel dialogo tra l’Iran ed il «Gruppo 5+1» sul nucleare.

Via diplomatica ai conflitti. «Ovunque la via per risolvere le problematiche aperte deve essere quella diplomatica del dialogo». È la «strada maestra» additata dal Papa, e già indicata «con lucida chiarezza» da Benedetto XV, quando invitava a far prevalere «la forza morale del diritto» su quella «materiale delle armi» per porre fine a quella «inutile strage» che è stata la prima guerra mondiale, di cui quest’anno ricorre il centenario. Occorre «il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale», ha detto il Papa citando l’Evangelii Gaudium, per «considerare gli altri nella loro dignità più profonda, affinché l’unità prevalga sul conflitto e sia possibile sviluppare una comunione nelle differenze». «E’ positivo che siano ripresi i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi», ha detto il Papa auspicando che «le parti siano determinate ad assumere, con il sostegno della comunità internazionale, decisioni coraggiose per trovare una soluzione giusta e duratura ad un conflitto la cui fine si rivela sempre più necessaria e urgente». Per il Papa, inoltre, «non cessa di destare preoccupazione l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente e dal Nord Africa»: «essi desiderano continuare a far parte dell’insieme sociale, politico e culturale dei Paesi che hanno contribuito ad edificare», ha assicurato, e «ambiscono concorrere al bene comune delle società nelle quali vogliono essere pienamente inseriti».

Riconciliazione e pace in Africa. «Non bisogna mai desistere dal compiere il bene anche quando è arduo e quando si subiscono atti di intolleranza, se non addirittura di vera e propria persecuzione». Lo ha detto il Papa, riferendosi alla situazione dei cristiani in Africa, a cominciare da «vaste aree della Nigeria», in cui «non si fermano le violenze e continua ad essere versato tanto sangue innocente». «Il mio pensiero – ha proseguito – va soprattutto alla Repubblica Centroafricana, dove la popolazione soffre a causa delle tensioni che il Paese attraversa e che hanno seminato a più riprese distruzione e morte». «Mentre assicuro la mia preghiera per le vittime e per i numerosi sfollati- l’appello del Papa – auspico che l’interessamento della comunità internazionale contribuisca a far cessare le violenze, a ripristinare lo stato di diritto e a garantire l’accesso degli aiuti umanitari anche alle zone più remote del Paese». Da parte sua, la Chiesa cattolica «continuerà ad assicurare la propria presenza e collaborazione, adoperandosi con generosità per fornire ogni aiuto possibile alla popolazione e, soprattutto, per ricostruire un clima di riconciliazione e di pace fra tutte le componenti della società». «Riconciliazione e pace» sono «priorità fondamentali» anche in altre parti del continente africano, ha proseguito il Papa citando il Mali e la «nuova emergenza umanitaria» in Sud Sudan.

No alla cultura dello scarto. «La pace è ferita da qualunque negazione della dignità umana, prima fra tutte dalla impossibilità di nutrirsi in modo sufficiente». E’ il forte appello del Papa, secondo il quale «non possono lasciarci indifferenti i volti di quanti soffrono la fame, soprattutto dei bambini, se pensiamo a quanto cibo viene sprecato ogni giorno in molte parti del mondo, immerse in quella che ho più volte definito la cultura dello scarto». «Oggetto di scarto – ha denunciato Papa Francesco – non sono solo il cibo o i beni superflui, ma spesso gli stessi esseri umani, che vengono ‘scartati’ come fossero cose non necessarie». Ad esempio, «desta orrore il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai vedere la luce, vittime dell’aborto, o quelli che vengono utilizzati come soldati, violentati o uccisi nei conflitti armati, o fatti oggetti di mercato in quella tremenda forma di schiavitù moderna che è la tratta degli esseri umani, la quale è un delitto contro l’umanità». Nel discorso al corpo diplomatico, il Papa ha citato anche l’Asia, la cui «lunga storia di pacifica convivenza tra le sue varie componenti civili, etniche e religiose» è minacciata da «crescenti atteggiamenti di chiusura che, facendo leva su motivazioni religiose, tendono a privare i cristiani delle loro libertà e a mettere a rischio la convivenza civile».

Il dramma dei profughi. «Non può trovarci insensibili il dramma delle moltitudini costrette a fuggire dalla carestia o dalle violenze e dai soprusi, particolarmente nel Corno d’Africa e nella Regione dei Grandi Laghi». E’ la denuncia del Papa, che ha fatto notare come «molti di essi vivono come profughi o rifugiati in campi dove non sono più considerate persone ma cifre anonime» ed «altri, con la speranza di una vita migliore, intraprendono viaggi di fortuna, che non di rado terminano tragicamente»: come i «numerosi migranti che dall’America Latina sono diretti negli Stati Uniti», ma soprattutto «quanti dall’Africa o dal Medio Oriente cercano rifugio in Europa». «È ancora viva nella mia memoria la breve visita che ho compiuto a Lampedusa», ha assicurato il Papa, denunciando la «generale indifferenza davanti a simili tragedie», «segnale drammatico» della perdita di quel «senso della responsabilità fraterna su cui si basa ogni società civile». Sempre a Lampedusa, il Papa ha constatato anche «l’accoglienza e la dedizione di tante persone»: di qui l’augurio «al popolo italiano, al quale guardo con affetto, anche per le comuni radici che ci legano, di rinnovare il proprio encomiabile impegno di solidarietà verso i più deboli e gli indifesi e, con lo sforzo sincero e corale di cittadini e istituzioni, di superare le attuali difficoltà, ritrovando il clima di costruttiva creatività sociale che lo ha lungamente caratterizzato».

La ferita dello sfruttamento del creato. L’«avido sfruttamento delle risorse ambientali» è «un’altra ferita alla pace». Ne è sicuro il Papa, che ha spiegato questa affermazione con un detto popolare che dice: «Dio perdona sempre, noi perdoniamo a volte, la natura – il creato – non perdona mai quando viene maltrattata». Anche se «la natura è a nostra disposizione», ha spiegato citando il Messaggio per la Giornata mondiale della pace, troppo spesso «non la rispettiamo e non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio» delle «generazioni future». Di qui la «responsabilità di ciascuno affinché si perseguano politiche rispettose di questa nostra terra, che è la casa di ognuno di noi». «Abbiamo avuto davanti ai nostri occhi gli effetti devastanti di alcune recenti catastrofi naturali», ha ricordato il Papa citando «le numerose vittime e le gravi devastazioni nelle Filippine e in altri Paesi del Sud-Est asiatico provocate dal tifone Haiyan». La pace «non si riduce ad un’assenza di guerra», ma «si costruisce giorno per giorno», ha ricordato il Papa citando Paolo VI: è questo «lo spirito che anima l’azione della Chiesa ovunque nel mondo, attraverso i sacerdoti, i missionari, i fedeli laici, che si prodigano, tra l’altro, in molteplici opere di carattere educativo, sanitario ed assistenziale, a servizio dei poveri, dei malati, degli orfani e di chiunque sia bisognoso di aiuto e conforto».