Hanno testimoniato l’amore nel servizio ai più deboli ed emarginati, senza esigere ma sostenendo; senza pretendere ma prendendosi cura; non rivendicando diritti ma rispondendo ai bisogni. Profeti del bene comune, decisi a pagare di persona ciò in cui hanno creduto e per cui hanno vissuto, erano in Afghanistan per difendere, aiutare, addestrare. Con queste parole l’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi, ha ricordato Marco Pedone, Francesco Vannozzi, Gianmarco Manca e Sebastiano Ville, i 4 alpini italiani uccisi in Afghanistan e dei quali, oggi a Roma, si sono celebrati i funerali di Stato. Compito dei nostri militari, in quella martoriata terra, – ha ricordato l’arcivescovo – è il mantenimento della sicurezza, la formazione dell’esercito e della polizia afghana, la realizzazione di progetti civili come ponti, scuole, ambulatori e pozzi. L’uomo ha bisogno di pane ma nel più profondo ha bisogno di amore. A questa fame dell’umanità risponde ogni nostro militare dando tutto se stesso. Dare vita è offrirla, perderla. Per mons. Pelvi la pace non può essere considerata come un prodotto tecnico, frutto solo di accordi tra governi, di iniziative volte ad assicurare efficienti aiuti economici, o dell’assunzione di impegni condivisi per arginare le minacce di tipo bellico e scalzare alla radice le ricorrenti tentazioni terroristiche. Perché tali sforzi possano produrre effetti duraturi, è necessario sentire la voce e guardare alla situazione delle popolazioni interessate per interpretarne adeguatamente le attese. Ci si deve porre in continuità con lo sforzo di tante persone impegnate nel promuovere l’incontro tra i popoli e nel favorire lo sviluppo partendo dall’amore e dalla comprensione reciproca. Tra queste persone ci sono i nostri militari. Dinanzi a tale responsabilità, ha ammonito mons. Pelvi, nessuno può restare neutrale o affidarsi a giochi di sensibilità variabili, che indeboliscono la tenuta di un impegno così delicato per la sicurezza dei popoli. I nostri militari si nutrono anche della forza delle nostre convinzioni e della consapevolezza di una strategia chiara e armonica che le Nazioni mettono in campo per un progetto di convivenza mondiale ordinata. Chiudendo la sua omelia l’Ordinario militare ha rivolto un saluto particolare alle famiglie dei 4 militari ringraziandole per aver insegnato ai nostri giovani il lessico dell’amore disinteressato e generoso che si è manifestato, poi, nella professione militare di Marco, Francesco, Gianmarco, Sebastiano, educati a quegli slanci di solidarietà creativa, capaci di allargare il cuore, verso le necessità dei deboli e fare quanto concretamente possibile per venire loro in soccorso.Sir