Opinioni & Commenti

G8, le attese del mondo

di Riccardo Moro

Per ogni minuto che scorre, anche quelli trascorsi nello scrivere e leggere queste righe, una donna muore di gravidanza o di parto nel Sud del mondo. Ogni giorno muoiono 11 mila bimbi che hanno meno di un anno. Fanno 4 milioni l’anno, anche in questo caso quasi tutti giovanissimi cittadini del Sud del mondo.

Accanto alle crisi internazionali queste dovrebbero essere le prime preoccupazioni degli otto capi di stato e di governo che si riuniscono questa settimana. Lo afferma con chiarezza, citando questi dati, la dichiarazione finale della Conferenza interparlamentare che si è riunita la scorsa settimana a Roma in preparazione del vertice del G8 dell’Aquila. Membri dei parlamenti degli otto paesi, insieme a rappresentanze parlamentari europee, africane e asiatiche, hanno firmato un “Appello agli 8 capi di stato e di governo” che ha avuto una consistente eco internazionale, con la pubblicazione integrale sul New York Times di venerdì scorso, ma, purtroppo, scarsissima attenzione nel nostro paese.

Accanto alla voce dei parlamenti non è mancata quella delle religioni, che hanno presentato un documento sulla pace e lo sviluppo. Una delegazione internazionale di vescovi ha incontrato il governo italiano sui temi del summit e lo stesso Papa ha presentato in un appello trasmesso al primo ministro italiano (testo integrale) “affinché l’aiuto allo sviluppo, soprattutto quello rivolto a valorizzare la risorsa umana, sia mantenuto e potenziato”, perché venga aumentato l’impegno per l’accesso all’educazione, “condizione indispensabile per il funzionamento della democrazia” , promosso il commercio in favore dei paesi più poveri e “rafforzato il multilateralismo”. Il Papa inoltre ha scelto di presentare pubblicamente la tanto a lungo attesa enciclica sociale (testo integrale) proprio alla vigilia del vertice.

Rilevante anche la voce della società civile che ha visto nella Global Call Against Poverty (GCAP) il suo coordinamento più ampio, coinvolgendo associazioni, sindacati e ong a livello italiano e internazionale. La GCAP ha chiesto un’iniziativa su quattro temi: la sicurezza alimentare, la gestione della crisi economica (con un’attenzione particolare non solo alla stabilità, ma all’orientare le risorse finanziarie verso i paesi in via di sviluppo), i beni pubblici globali quali acqua, salute e istruzione, i cambiamenti climatici. Per questi ambiti sono state individuate proposte circostanziate che tengono conto anche di quanto sarà realisticamente ottenibile durante il summit. La cifra comune delle proposte è doppia. Da un lato si chiede il rispetto degli impegni assunti in passato. Per troppe volte il G8 ha lanciato iniziative e proposte, ma non sempre è stato rigoroso nel mantenere e, soprattutto, nel riferire i risultati.

Sul piano finanziario gli otto si erano impegnati a dare in aiuti lo 0,7% del PIL entro il 2015 con l’obiettivo intermedio dello 0,5% nel 2010. È un traguardo ancora lontano. Le cifre parlano da sole: per la cooperazione internazionale mancano ogni anno circa 50 e i 100 miliardi di dollari, mentre in pochi mesi non si è esitato ad impiegarne più di 5 mila miliardi per fronteggiare la crisi, come ha certificato il G20 di Londra. Intanto l’Italia ha più che dimezzato i propri aiuti nel luglio scorso, cioè ben prima della crisi.

Ma non bastano i soldi, occorrono politiche efficaci. Perché siano tali servono strumenti di coordinamento. La seconda cifra comune delle proposte è infatti la governance. Occorre un investimento rilevante per dotarsi di strumenti per la programmazione e la verifica degli interventi, permettendo in ogni settore protagonismo locale e assunzioni di responsabilità comuni. Qualcosa è stato fatto per la scuola o per l’Aids, ma occorre di più, ad esempio nel settore dell’acqua, un elemento chiave per la qualità della vita, che soffre di una moltiplicazione di interventi che impediscono una programmazione efficace e mimetizzano la sistematica riduzione dei finanziamenti.

Guardando al vertice non interessa il contorno di colore, che non mancherà, o il dibattito sulla faticosa scelta di svolgerlo all’Aquila. Ciò che preme è la capacità di risposta ai processi globali e alle crisi. E questa attenzione suscita la domanda più radicale. L’Aquila sarà l’ultimo G8? La crisi finanziaria ha mostrato come un gruppo ristretto di paesi, per quanto ricchi, nulla può da solo per intercettare fenomeni globali. Occorrono strumenti inclusivi per coinvolgere in modo ampio nell’assunzione di responsabilità. Il formato del G8, anche a detta di molti esperti, è obsoleto. Per superarne i limiti sono stati invitati numerosi capi di stato che daranno vita ad una articolata serie di riunioni dalla geografia variabile, ma con quale efficacia? Ha senso tenere in piedi una formula in cui pochi rimangono padroni di casa e tutti gli altri restano invitati? Non sarebbe meglio rafforzare l’ECOSOC, il Consiglio per gli Affari economici e sociali dell’ONU o usare il G20? Risposte credibili non possono attendere mentre proprio L’Aquila sta a ricordare che l’autorevolezza si conquista proponendo e mantenendo gli impegni.