Firenze
Gambelli: don Silvano Seghi, “maestro di speranza”
L'omelia dell'arcivescovo di Firenze al funerale del sacerdote che ha fatto nascere Comunione e Liberazione in Toscana

“Anche un solo rapporto gratuito, diceva don Silvano, può diventare possibilità concreta di generare un’umanità nuova. La presenza, oggi, in questo funerale di così tante persone dice come don Silvano abbia costruito rapporti veri, gratuiti, e di come, in un mondo lacerato da guerre, violenze e ingiustizie sociali, ci siano ancora maestri e testimoni di speranza, che non chiacchierano di Dio e della Chiesa con un frasario affascinante e una terminologia elegante, ma che con la loro semplicità sanno donare Cristo, che è la vera pace”. Così nella sua omelia l’arcivescovo di Firenze mons. Gherardo Gambelli ha descritto uno degli aspetti più rilevanti di Silvano Seghi, storico parroco di San Michele a San Salvi, che da giovane curato di Santa Maria al Pignone, all’inizio degli anni Settanta, aveva inoltre dato inizio all’esperienza del movimento di Comunione e Liberazione a Firenze e in Toscana. Ed è stata davvero una folla impressionante a rendergli l’ultimo saluto, dopo la scomparsa avvenuta mercoledì scorso all’età di 84 anni: tra i 40 sacerdoti concelebranti erano presenti i vescovi Giovanni Paccosi di San Miniato, Giovanni Mosciatti di Imola, Marco Salvi di Civita Castellana, Giancarlo Vecerrica emerito di Fabriano-Matelica nonché i cardinali Giuseppe Betori e Gualtiero Bassetti, quest’ultimo suo compagno di seminario. Tra le autorità presenti, oltre all’assessore Jacopo Vicini in rappresentanza dell’amministrazione comunale di Firenze, anche l’europarlamentare ed ex sindaco Dario Nardella, amico personale del sacerdote scomparso.Monsignor Gambelli ha tratteggiato un ritratto di don Seghi sottolineando in particolare tre aspetti che lo hanno caratterizzato, ovvero la docilità alla novità dello Spirito, la testimonianza di speranza e la creatività della carità. Al primo si deve tra l’altro l’adesione all’esperienza di Cl che comunque, ha sottolineato l’arcivescovo, “non ha fermato il suo cammino di ricerca” in quanto, come egli stesso ebbe modo di sottolineare in un’intervista, “Il movimento è un avvenimento imprevedibile a noi stessi, ne siamo prima di tutto sorpresi noi. Non corrisponderà mai a idee o punti di vista già elaborati”. Quanto alla speranza, ha aggiunto Gambelli, per don Silvano era legata “alla gratuità di ‘testimoni’ capaci di scuotere e ridestare l’umano, di maestri che credono alla positività dell’altro e dell’altra, a prescindere dal condividere o meno il medesimo sguardo sulla realtà”. E infine la carità, che derivava dalla “grande scoperta di don Silvano, che la Verità da lui tanto desiderata e cercata non era una realtà statica, in un punto estremo della via da lui percorsa, in attesa di essere raggiunta, ma una Presenza dinamica che lo raggiungeva, ogni giorno, lì dove si trovava proprio attraverso i volti che incontrava. E questa scoperta – ha affermato l’arcivescovo – l’ha portato ad avere una grande attenzione verso i bisogni concreti delle persone”.
Alla fine della celebrazione sono stati mons. Dante Carolla, suo compagno di seminario e don Pierfrancesco Amati, attuale parroco di San Salvi, con cui don Silvano aveva condiviso l’inizio dell’esperienza di Cl a Firenze, a tracciarne un ricordo mettendo in evidenza le tappe della sua vita.
Don Amati, oltre a ringraziare i partecipanti nonché in particolare le persone che negli ultimi anni sono state vicine al sacerdote scomparso, ha ricordato tra l’altro il doppio passaggio di testimone in parrocchia con don Seghi, che vi arrivò quando lui era viceparroco per poi lasciargli la guida nel 2019 pur restandovi come “parroco emerito”. “Ritornato stabilmente a Firenze – ha commentato il sacerdote – ho potuto constatare più nel dettaglio quanto la sua opera avesse generato nel tempo un ‘popolo’, non trovo altro termine per definire il frutto della sua paternità sviluppata e cresciuta dal 1972 a oggi”.
Don Silvano Seghi riposerà nel cimitero di Soffiano.
Di seguito il testo integrale dell’omelia.
“Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare. Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 16,8-11). Le parole del Salmo 16 sono spesso citate nel Nuovo Testamento, in particolare nei discorsi degli Atti degli Apostoli, per aiutare a capire il senso del messianismo di Gesù: il compimento delle Scritture nella sua morte e risurrezione. Anche noi, mettendoci in ascolto della Parola di Dio, riceviamo il dono dello Spirito Santo, che purifica il nostro sguardo e ci aiuta a vivere nella fede i momenti difficili, ad aprirci alla speranza nelle prove, come quella della morte dei nostri cari, della loro separazione da noi.
Avere uno sguardo nuovo: questa è la fede. Saper guardare tutto in modo diverso. Le cose sono le stesse di sempre, ma – dopo aver incontrato Gesù – nulla più rimane come prima. Per questo l’esperienza della morte non va annacquata, sublimata o spiritualizzata, in quanto né l’annacquamento, né la sublimazione, né la sua spiritualizzazione potrebbero offrirci una via d’uscita da essa. La morte rimane morte, con tutta la sua drammaticità, ed è proprio dal di dentro e dal di sotto di tale esperienza di contraddizione e di buio che si può intravedere quella piccola fiamma, che parla di resurrezione, di vita e di eternità. E se la morte è più che semplice “fine”, in quanto è luogo di resurrezione e di vita, il nostro modo di guardare oggi le cose, le persone e le stesse prove della quotidianità non può più rimanere lo stesso di prima. Siamo invitati a fare nostre le parole del prefazio dei defunti:
“Ai tuoi fedeli, o Signore,
la vita non è tolta, ma trasformata;
e mentre si distrugge la dimora
di questo esilio terreno,
viene preparata un’abitazione eterna nel cielo”.
Proprio in virtù di questa fede, nel passaggio dal subire un’ingiusta e inspiegabile privazione della vita alla consapevolezza di una grandiosa e inaspettata trasformazione della vita terrena, possiamo dire con certezza che in questo momento noi non soltanto preghiamo “per” don Silvano, ma continuiamo anche a pregare “con” lui, affinché, come ci ricorda la lettera agli Ebrei, possiamo “resistere fino al sangue nella nostra lotta contro il peccato” (Eb 12,4).
Partendo dalle letture che abbiamo ascoltato vorrei sottolineare tre aspetti del ministero di don Silvano, che possono aiutarci a prendere sempre più consapevolezza di quello sguardo nuovo che Gesù stesso dona a coloro che lo seguono.
Il primo aspetto è la docilità alla novità dello Spirito.
La prima lettura, tratta dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi, ci invita a riflettere sull’importanza dell’apertura alla novità dell’azione dello Spirito Santo. Se fino ad ora abbiamo visto la fede come novità di sguardo, adesso viene indicata l’importanza di aprirci a questa novità offerta. Gesù, infatti, mentre dona occhi in grado di vedere tutto in modo diverso, contemporaneamente chiede ai suoi di accogliere questa offerta. L’apertura al dono della novità si è avvenuta in tutta la vita di don Silvano, già ai tempi in cui era curato a Santa Maria al Pignone. Come lui stesso ricorda in un’intervista a ToscanaOggi:
“Dagli anni del seminario, vivevo come nell’attesa e in una ricerca appassionata di qualcosa d’altro rispetto al clima culturale della fine degli anni Sessanta, che riduceva l’esperienza della fede a conseguenze sociali, culturali e politiche, e al tradizionalismo della parrocchia, con il suo associazionismo che non produceva attrattiva. Qualcosa doveva pur esserci, ma non sapevo dove né come”.
In queste parole di don Silvano possiamo cogliere come la capacità di riconoscere le esigenze del cuore delle persone non coincida con l’avere immediatamente una risposta da offrire, per avere sempre tutto sotto controllo. La criticità che può scaturire dalla precarietà del tempo presente non chiede un’immediata proposta risolutiva, ma invita alla ricerca, alla ricerca di qualcosa, senza sapere inizialmente il “dove” e il “come”.
Il mettersi in ricerca di don Silvano ha portato progressivamente alla nascita del primo nucleo di Comunione e Liberazione a Firenze. Ma anche l’incontro con il carisma di don Giussani non ha fermato il suo cammino di ricerca, in quanto don Silvano era attratto dalla Verità e aveva trovato nell’esperienza di CL un gruppo di persone amiche capaci di condividere con lui la bellezza del camminare insieme. Nel ricordare con gratitudine al Signore l’impegno di don Silvano e i frutti del suo apostolato, vorremmo al tempo stesso imitare questa sua docilità allo Spirito che lo ha costantemente “mosso” e “reso inquieto” (come amava dire Papa Francesco). Il suo essere sempre in ricerca, ormai in compagnia di altri fratelli e sorelle, figlie e figlie, generava in lui uno stupore costante che lo provocava a “lasciarsi fare” da questa novità, senza calcoli personali; diceva ancora nella stessa intervista:
“Il movimento è un avvenimento imprevedibile a noi stessi, ne siamo prima di tutto sorpresi noi. Non corrisponderà mai a idee o punti di vista già elaborati”.
Il secondo aspetto è la testimonianza di speranza.
“Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore”, abbiamo ascoltato nel Vangelo. In occasione dei suoi 25 anni come parroco di San Michele a San Salvi ebbe a dire:
“Le comunità e i gruppi del dissenso e della contestazione, si sono via via trasformati in quelli del disagio per cui c’è sempre bisogno di indicare un colpevole. Il sentore che spesse volte colgo sia nelle singole persone, sia nei gruppi associati è quello della rabbia e della protesta, lontane da quella passione politica e culturale, la passione per le idee che, per quanto antagoniste e in concorrenza fra loro, favorivano comunque l’ascolto e il paragone tra le diverse sponde. Questo dice dello smarrimento e della trascuratezza dell’io, la perdita di una speranza. Che cosa si può fare per risvegliare una civiltà sommersa, per ridare la speranza a una città a un popolo che in essa vive? Non facendo archeologia, né continuando ad esaltare un passato che si mostra agli smarriti di cuore sempre più lontano, né pretendendo una politica di rimedi con progetti avveniristici e imponendo sempre più regole. Occorre un’umanità nuova, rintracciare testimoni e maestri di vera umanità che di schianto e di impeto di ragione e di fede si pongano nella realtà e nell’ambiente dell’educazione della scuola, dell’università del lavoro e delle opere, nel tessuto connettivo della città e della Chiesa dove anche un solo rapporto gratuito può divenire proposta e ridestare l’umano”.
In queste parole emerge chiaramente come la speranza sia legata alla gratuità di “testimoni” capaci di scuotere e ridestare l’umano, di maestri che credono alla positività dell’altro e dell’altra, a prescindere dal condividere o meno il medesimo sguardo sulla realtà. Si tratta di testimoni autentici che generano relazioni vive e vere, dove finalmente viene meno l’interesse di emergere, di arrivare per primi, di apparire bravi, santi e caritatevoli. Anche un solo rapporto gratuito, diceva don Silvano, può diventare possibilità concreta di generare un’umanità nuova. La presenza, oggi, in questo funerale di così tante persone dice come don Silvano abbia costruito rapporti veri, gratuiti, e di come, in un mondo lacerato da guerre, violenze e ingiustizie sociali, ci siano ancora maestri e testimoni di speranza, che non chiacchierano di Dio e della Chiesa con un frasario affascinante e una terminologia elegante, ma che con la loro semplicità sanno donare Cristo, che è la vera pace.
Un ultimo aspetto che vorrei sottolinearvi è la creatività della carità. Sempre in occasione del venticinquesimo anniversario della sua presenza a San Salvi, don Silvano affermava:
“La Chiesa non prende il posto di nessuno, non supplisce nessuno, tanto meno lo Stato: la Chiesa è carità. La carità di Cristo ci spinge e quindi si trova sempre sulla trincea dell’umano e dove il suo bisogno si esprime. Promuove la libertà delle persone rendendole attente gli uni ai bisogni degli altri, dalla forma di un aiuto quotidiano spicciolo fino alla creazione di opere”.
L’inquietudine del cuore spinge il ricercatore della Verità a rintracciarla non in un indefinito punto del cielo ma sulla terra, e non nell’umanità in generale, ma in quei volti concreti che si incontrano nel quotidiano. Volti certi, allegri, spensierati, che sanno godersi la vita, ma anche volti dubbiosi, sofferenti, feriti. Proprio nell’incontro con chi si trova nel bisogno, gli occhi di chi cerca la Verità vengono rigenerati e resi capaci di vedere tutto e tutti con gli occhi di Cristo. Molto profonde, a tale proposito, sono le parole di Papa Leone quando ha affermato:
“Fondamentali dunque sono l’approfondimento e lo studio, e ugualmente l’incontro e l’ascolto dei poveri, tesoro della Chiesa e dell’umanità, portatori di punti di vista scartati, ma indispensabili a vedere il mondo con gli occhi di Dio”.
Questa è stata la grande scoperta di don Silvano, che la Verità da lui tanto desiderata e cercata non era una realtà statica, in un punto estremo della via da lui percorsa, in attesa di essere raggiunta, ma una Presenza dinamica che lo raggiungeva, ogni giorno, lì dove si trovava proprio attraverso i volti che incontrava. E questa scoperta l’ha portato ad avere una grande attenzione verso i bisogni concreti delle persone. Significativa è la testimonianza di una suora delle Piccole Sorelle dei Poveri, che hanno accudito don Silvano in questi ultimi anni. Questa suora, proveniente dall’Africa, descrive il suo primo incontro con don Silvano qui, a San Salvi, appena arrivata in Italia. E ricorda il gesto da lui compiuto quando, guardando gli abiti troppo leggeri che indossava rispetto al freddo che in quei giorni c’era a Firenze, le ha subito regalato un cappotto. La Verità non è astratta, ma concreta, e per questo non si perde mai nell’astrazione ma accompagna, colui che la incontra, fino alle cose più concrete del quotidiano, servendosi della sua creatività.
Piano piano, però, si è affacciata, nell’orizzonte di don Silvano, l’esperienza di una malattia che lo ha privato dei tanti talenti che il Signore gli aveva donato. Eppure, permettetemi una battuta, questa malattia è arrivata troppo tardi: don Silvano ha vissuto una vita così intensa in compagnia di quella Verità cercata in ogni istante della sua giornata, che neanche l’alzheimer ha potuto impedirgli di manifestare fino all’ultimo respiro la sua docilità alla novità dello Spirito, la sua testimonianza di speranza e la creatività della carità.
Aiutaci Signore a metterci in ascolto di questa misteriosa sapienza che ci trasmetti anche attraverso i momenti più bui della nostra vita; aiutaci ad accogliere i volti dei poveri che incontriamo perché ci aiutino ad accogliere anche la nostra povertà come luogo in cui Tu ci raggiungi e vieni a salvarci. Accogliendo la tua misericordia ci sentiremo amati e impareremo che niente e nessuno può separarci da Te, che sei capace di far concorrere tutto al bene.