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Gaza, “si muore nei punti di distribuzione del cibo”

Più della metà degli attacchi mortali ai punti di distribuzione di aiuti a Gaza ha coinvolto bambini. È la drammatica denuncia di Save the Children, che lancia un appello urgente alla comunità internazionale: fermate questa strage

Da quando la Gaza Humanitarian Foundation ha avviato le sue attività il 27 maggio 2025, le scene di disperazione si sono moltiplicate. Secondo un’analisi di Save the Children, basata sui rapporti dell’Ufficio stampa di Gaza e delle Nazioni Unite, i bambini sono rimasti uccisi o feriti in oltre la metà dei 19 attacchi mortali avvenuti nei centri di distribuzione del cibo: 10 episodi su 19, una cifra agghiacciante.

La disperazione ha spinto molte famiglie, prive di adulti in buona salute, a mandare i più piccoli a cercare aiuto nei punti di distribuzione. Ma quel viaggio per il cibo è sempre più spesso un biglietto per la morte.

“Ricevere aiuti non può e non deve essere una condanna a morte – afferma Ahmad Alhendawi, Direttore regionale di Save the Children per il Medio Oriente e il Nord Africa –. Nessun bambino dovrebbe essere ucciso cercando un sacco di farina. Questa non è un’operazione umanitaria: è una trappola mortale”.

Secondo l’OHCHR (l’Alto Commissariato ONU per i diritti umani), dal 27 maggio oltre 500 palestinesi sono stati uccisi e almeno 3.000 feriti nel tentativo di accedere agli aiuti umanitari. Gli operatori di Save the Children raccontano scene di violenza indicibile: famiglie sventrate, bambini feriti, persone che calpestano i corpi pur di raggiungere cibo e acqua. “Il mio vicino è andato a Rafah per procurare qualcosa da mangiare alla sua famiglia – racconta Mohamed (il nome sono stato modificato per tutelare l’identità), collaboratore dell’organizzazione –. Gli hanno sparato. Ora cerco di aiutare la sua vedova e i suoi figli, che non fanno altro che piangere”.

Il governo israeliano mantiene intatto l’assedio su Gaza, bloccando la maggior parte dei rifornimenti vitali e creando quella che l’ONU definisce una “scarsità artificiale”. La fame viene usata come arma, denuncia Save the Children, e i siti per la distribuzione degli aiuti umanitari sono diventati luoghi pericolosi, in cui si muore per mano delle forze israeliane.

Ma le conseguenze non si limitano ai decessi. Le Nazioni Unite segnalano anche un alto rischio di separazione familiare nei momenti concitati delle distribuzioni, con bambini che restano soli, persi, senza un riferimento.

Nonostante tutto, Save the Children continua a operare sul campo: a Deir Al-Balah gestisce un centro sanitario primario per bambini e madri, fornisce acqua potabile, supporto psicosociale, spazi sicuri per i più piccoli e centri di apprendimento temporanei. Ma l’accesso a queste attività è sempre più difficile, e le necessità aumentano di giorno in giorno.

“Gli Stati non possono più chiudere gli occhi – conclude Alhendawi –. Devono sostenere il diritto internazionale umanitario, permettere alle organizzazioni esperte di fornire aiuti in modo sicuro e dignitoso, e smettere di armare la fame. Fermate questo disastro”.