Caritas

Gemellaggio, giovani in Turchia con Caritas Toscana

Esperienze di servizio, fede e dialogo hanno scandito l’estate di dieci giovani toscani partiti con Caritas. A Trabzon hanno incontrato una piccola comunità cristiana, fragile ma accogliente, vivendo un gemellaggio che va oltre l’aiuto: «È stato un pellegrinaggio dell’anima»

Un legame costruito nel tempo, fatto di piccoli gesti quotidiani, di incontri intensi e di esperienze condivise. È il gemellaggio tra Caritas Toscana e Caritas Turchia, nato nel solco delle iniziative per il 50° di Caritas Italiana. L’obiettivo? Non rispondere soltanto a un’emergenza, ma coltivare nel tempo relazioni profonde e durature tra comunità di fede distanti geograficamente ma unite da una stessa tensione verso il Vangelo.

Nel 2025, per il secondo anno consecutivo, l’amicizia tra le due Caritas si è concretizzata nei campi estivi organizzati a Trabzon, sul Mar Nero, dal 2 al 10 e dal 17 al 29 luglio. Dieci giovani provenienti da Firenze, Pisa, Fiesole e San Miniato hanno vissuto un’esperienza intensa di condivisione con la comunità cristiana locale, composta da circa 50 persone, in un contesto profondamente diverso da quello italiano.

Dal 2 al 10 luglio hanno fatto questa esperienza Giada Rinaldi e Greta Vannini (Caritas Firenze), Giulia Tei (Caritas San Miniato), Sara La Vecchia (Caritas Pisa) e Victor Dorcu (Caritas Fiesole). Mentre dal 17 al 29 luglio è stato il turno di Luca Papeschi (Caritas Pisa), Maria Sole Aringhieri (Caritas San Miniato), Benedetta Uncini, Sabrina Piazzai e Michele Benedic (Caritas Firenze).

Trabzon, l’antica Trebisonda, è oggi una città a stragrande maggioranza musulmana, dove l’identità cristiana va custodita con discrezione. Indossare simboli religiosi non è consigliabile; anche suore e sacerdoti non possono portare l’abito in pubblico.

La chiesa cattolica di Santa Maria è l’unico luogo di culto cristiano in città. La sua storia racconta di accoglienza, ma anche di dolore: sopra il portone d’ingresso un foro di proiettile e una panca segnata da colpi d’arma da fuoco ricordano l’omicidio di don Andrea Santoro, ucciso nel 2006. Proprio dalla memoria di questo sacerdote nasce una delle intuizioni più profonde del gemellaggio: vivere e testimoniare la fede nella minoranza, con pazienza e coraggio, in dialogo con una terra che porta i segni dell’antica presenza cristiana, ma anche le ferite della violenza e dell’incomprensione.

Ad accogliere i ragazzi sono state le suore, il parroco padre Leonardo Camara, e i giovani della parrocchia, per lo più rifugiati iraniani o studenti universitari africani. Tutti loro vivono in condizioni precarie, spesso in attesa di un visto e impossibilitati a lavorare, ma mostrano una straordinaria capacità di resistere con dignità e fede.

«Partecipare a un campo Caritas non è stato semplicemente un viaggio, ma un vero pellegrinaggio dell’anima», racconta Greta Vannini (Caritas Firenze).

«Abbiamo costruito ponti tra storie, culture e spiritualità. Insegnare italiano è stato un pretesto per condividere la vita, scambiare sogni e ascoltare fragilità. Ho imparato più di quanto ho dato».

Ogni giornata dei campi è stata scandita da attività ludiche, insegnamento della lingua italiana, momenti di servizio, preghiera e testimonianza. Le barriere linguistiche e culturali sono state superate grazie all’entusiasmo, al gioco e all’amicizia. Anche le visite ai monasteri e alle antiche chiese, ora trasformate in moschee, hanno stimolato riflessioni profonde sulla storia del cristianesimo e sul suo radicamento in Medio Oriente.

«Ho conosciuto una parrocchia viva e partecipe, fatta di persone che ogni giorno si impegnano a costruire relazioni autentiche», racconta Sara La Vecchia (Caritas Pisa).

«Mi ha colpito la capacità della comunità cristiana di tenere aperte le porte della chiesa, di accogliere anche chi non è credente, in un contesto dove la fede cristiana può ancora suscitare diffidenza».

Per padre Leonardo Camara, parroco della chiesa di Trabzon, «il gemellaggio è stato una bellissima esperienza di scambio culturale e di fede. Con i due gruppi abbiamo vissuto momenti di preghiera, gioco, lavoro, conversazioni e tanta gioia. I giovani ci hanno portato una testimonianza forte: la loro energia è una benedizione per la nostra piccola comunità. Con quest’esperienza portiamo avanti l’ispirazione di don Andrea Santoro, che sognava un Medio Oriente in cui fiorisse il dialogo e la fede, a partire dalla conoscenza reciproca».

Anche Santina Morciano, operatrice Caritas e accompagnatrice dei campi, sottolinea il valore di questi percorsi: «Solo attraverso l’esperienza diretta si può comprendere l’importanza della fede vissuta con libertà e consapevolezza. Il gemellaggio è uno scambio di fede e umanità, ma anche uno stimolo alla profezia: ci invita a guardare più in profondità, oltre le apparenze».

Non solo. «Questa è un’occasione di crescita e confronto sia per i ragazzi delle Caritas diocesane toscane e sia dalla comunità cristiana che incontriamo e che si realizza attraverso l’implementazione di progetti concreti e la vicinanza affettiva e spirituale. Per noi tutto ciò rappresenta una testimonianza di fede significativa e un arricchimento reciproco. Ci sta particolarmente a cuore l’impatto che queste esperienze possono avere nelle diocesi, grazie alla conoscenza autentica di una realtà complessa e ricca di sfumature come quella turca».

Giulia Tei (Caritas San Miniato) ha vissuto il campo con meraviglia e gratitudine: «Sono partita senza aspettative e mi sono trovata accolta come in una famiglia. Abbiamo cucinato, giocato, ballato, riso insieme. Ho ascoltato storie incredibili di vita vera e di fede. Ci sarebbero tante cose da raccontare, ma una sola è la più importante: vi auguro di sentirvi accolti come noi ci siamo sentiti accolti. Buon viaggio verso Trabzon, amici pellegrini».

Sensazione condivisa da Giada Rinaldi (Caritas Firenze): «Quello che più mi ha colpito di quest’esperienza, è l’allegria della gente. I pomeriggi e le sere passate a cantare, ballare e giocare tutti insieme, senza differenze religiose e culturali riempivano il cuore di ognuno di noi. A Trabzon tutto era vita, tutto era condivisione. Mi ha insegnato che la bellezza non sta solo nei luoghi, ma nei cuori delle persone. È una città che ti entra dentro, ti fa sentire parte della sua famiglia, e ti lascia con la voglia di tornare».

Il valore più profondo dell’esperienza emerge dalla reciprocità dello scambio: nessuno aiuta e basta, nessuno riceve soltanto. È un intreccio di vite, di testimonianze, di fede e di domande. «Questo mondo orientale, – sottolinea Morciano – ha bisogno che si allaccino fili di dialogo, di conoscenza, di stima reciproca, di riconciliazione. Fili attraverso cui ci si possa parlare, capire e comunicare le reciproche ricchezze facendosi testimoni della propria fede, dei propri cammini di ricerca».

Come ricorda ancora padre Leonardo, «la ricchezza del Medio Oriente non è il petrolio, ma il suo tessuto religioso, la sua anima intrisa di fede. Con questo gemellaggio possiamo essere quel piccolo segno di unità in un tempo di tanta guerra e confusione».

Una speranza che è profezia, e una fede che diventa relazione. Questo raccontano i giovani tornati dalla Turchia. Questo testimonia il legame tra Caritas Toscana e Caritas Turchia. Un ponte che unisce terre lontane, cuori vicini, e che chiama ognuno a diventare pellegrino, nel senso più autentico: cercatore di verità e di fraternità.