Vita Chiesa

GIOVANI: CONVEGNO CEI, MONS. SOLMI (PARMA) «PRENDERE SUL SERIO LE LORO DOMANDE»

“Molti giovani nei confronti della fede sono come Indiana Jones alla ricerca del santo Graal: hanno davanti molti calici e non sanno qual è quello vero. La proposta cristiana è per loro uno dei calici, deve emergere il suo valore unico e fondante. Deve emergere il volto del Signore Gesù”. Lo ha detto mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma e presidente della Commissione episcopale per la Famiglia e la Vita, aprendo, questa mattina a Roma, i lavori del XII convegno nazionale di pastorale giovanile (fino al 13 novembre), “Crescere insieme per la vita buona – I giovani e la dimensione comunitaria della vita e della fede” cui partecipano oltre 600 delegati da tutte le diocesi italiane e da associazioni e movimenti giovanili. “Un mondo altalenante” quello giovanile che vive in una società sempre più “vecchia” non solo anagraficamente ma anche di “prospettive”: “i giovani – ha spiegato il vescovo – rischiano di non essere al centro di attenzioni e priorità, mentre cresce il numero di giovani stranieri con attenzioni e problemi particolari e necessità di impegni e relazioni nuove. C’è, infatti, un numero crescente di giovani extracomunitari o di nuovi italiani che, a titolo pieno, debbono essere destinatari della cura pastorale della chiesa”. “Anche in chiesa i giovani sono meno – ha proseguito mons. Solmi – qualcuno ha detto che siamo davanti alla prima generazione incredula e ha elencato anche le cause trovandole nel venir meno della trasmissione di valori e di fede da parte della famiglia e nella mancanza di un clero giovane capace di incontrarli per la scarsità numerica e per la scarsa possibilità di intessere relazioni. C’è così una generazione che cresce in un analfabetismo catechistico e biblico, in un contesto di neopaganesimo. Una generazione che non ha più antenne con Dio” alla quale rivolgersi. Ci sono anche “giovani che in chiesa ci vengono. Frequentano parrocchie e associazioni e movimenti, seguono cammini di fede o solo camminano nella nostra comunità cristiana con tutti i colori e le sfumature possibili. Diversi di loro li abbiamo seguiti e incontrati alla Gmg a Madrid. Ci hanno testimoniato che ci sono, che ci sono stati a fare un pellegrinaggio difficile, faticoso; ma ci chiedono di ascoltarli e di parlare loro con verità e coerenza”. La sfida, ha concluso mons. Solmi, è quella di “essere e sentirsi una comunità della quale i giovani sono protagonisti; una comunità che non è fatta solo di giovani ma che cresce con i giovani con una grande attenzione agli snodi vocazionali della loro vita, una comunità che prende sul serio le loro domande e i sogni che hanno sulla chiesa e sul mondo”.Fronteggiare la mentalità individualista, predominante nella società, per non correre il rischio di non incontrare mai Cristo: è la sfida principale che attende i giovani oggi nell’ambito del loro cammino di fede. L’esortazione è del gesuita Franco Imoda, già magnifico Rettore della Pontificia università Gregoriana. Parlando ai 600 delegati di 160 diocesi italiane e di numerose associazioni ecclesiali, il gesuita ha messo in evidenza “la paura dei giovani di essere se stessi in relazione con altri da cui deriva questa mentalità che rende difficile il loro cammino di fede comunitario”. Una sfida che interpella la Chiesa sul piano dell’annuncio e della formazione. “La Chiesa deve rispondere a queste derive individualiste in quanto comunità. Essa è anche ‘relazione con qualcuno’, non un’istituzione fredda o distante né tantomeno una dottrina, perché è stata comunità di credenti in seno alla quale si è scritto il Libro. L’annuncio al mondo giovanile resta inderogabile”. “Paolo VI – ha concluso il gesuita – ci ha ricordato che la Chiesa ha bisogno più di testimoni che di maestri. Testimoni che siano fedeli preparati, formati e coerenti con il messaggio evangelico che annunciano”.“La pastorale giovanile è una priorità in Europa. I giovani hanno lo stesso linguaggio, una cultura simile, come più volte mostrato da eventi internazionali, quali la Gmg. Sono tempi in cui è urgente capire cosa Dio chiede alla Chiesa, laici e consacrati, in questo campo e cosa la Chiesa può offrire al mondo giovanile”. Al convegno nazionale di pastorale giovanile, spazio anche all’Europa come testimonia la presenza di rappresentanti della pastorale giovanile 12 Paesi europei e di padre Duarte da Cunha, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), che sabato 12 novembre terrà una comunicazione su “I giovani e la pastorale giovanile in Europa”. Parlando al SIR padre da Cunha ha affermato che “siamo ad un punto di svolta, non è tempo di intrattenimento ma di ricercare le radici più profonde della nostra fede. La pastorale giovanile non è un tempo di passaggio ma di costruzione di persone adulte. La cosa che più spaventa non è l’allontanamento dei giovani dalla Chiesa ma il loro diventare adulti in una società che non offre loro spazio e prospettive”. Fatto che sta provocando fenomeni come quello degli indignados. “Oggi abbiamo bisogno più che di giovani indignados, di giovani impegnati” ha detto il segretario generale del Ccee che ha invocato “un rinnovato protagonismo giovanile”. “I giovani sono vittime di una cultura, priva di riferimenti morali, che non li prende sul serio, ma da loro deve venire anche la responsabilità di una ‘critica costruttiva e non di una ‘critica-contro’. Vogliamo il bene e la bellezza, c’è bisogno di questo impegno da parte del mondo giovanile. Non basta un movimento che nasce sulla base di esigenze che poi si spera, altri risolvano”. (SiR)