Papa Leone XIV

Giovani: dai villaggi alle periferie, così Prevost li formava

Il giovane padre Robert Prevost ha sempre coltivato una “seconda opzione” pastorale: quella per i giovani. Tra orti, villaggi, formazione e messe del sabato sera, emerge lo stile semplice e vicino di un sacerdote che oggi è Papa

Un giovane sacerdote che amava stare con i giovani, “spingendoli” soprattutto a “uscire”, a darsi da fare, a coltivare una dimensione missionaria. Manca poco al primo, molto atteso, incontro diretto tra Papa Leone XIV e i giovani, in occasione del “loro” Giubileo. Occasione propizia per andare a ritroso nel tempo, e cercare tracce dell’impegno pastorale dell’allora padre Robert Prevost con i ragazzi, gli adolescenti e giovani del Perù, nelle sue esperienze pastorali di Chulucanas, cittadina del nord del Paese, all’epoca una prelatura seguita dai padri agostiniani, in gran parte provenienti da Chicago, e, qualche anno dopo, di Trujillo, dove diresse la casa di formazione degli agostiniani. In entrambi i casi, in molti ricordano la sua particolare attenzione ai giovani, del resto comune a numerose esperienze latinoamericane, in coerenza con quella “seconda opzione”, quella, appunto, per i giovani, che si aggiungeva alla “prima opzione” per i poveri, delineata con chiarezza dalla Conferenza di Puebla (1979).

A Chulucanas, di villaggio in villaggio. Anche se sono passati quasi quarant’anni, il ricordo di José Elias Martínez è ancora nitido. Conobbe padre Prevost che era poco più che un ragazzo, a Chulucanas, ed entrò inizialmente a far parte del gruppo dei chierichetti; nei due anni, il 1985 e il 1986, durante i quali il giovane agostiniano fu presente, nella sua prima esperienza pastorale e missionaria dopo l’ordinazione sacerdotale, furono tantissime le esperienze e le iniziative per i giovani messe in piedi da padre Prevost. Oggi, Martínez vive in Italia, a Lecco. Il nostro Paese, da 17 anni, è la sua seconda patria; ricorda con riconoscenza e affetto quel periodo, e spera, presto, di riuscire a salutare direttamente il Papa.

“In quei due anni, praticamente – ricorda – vivemmo a carico suo. Arrivò poco dopo la sua ordinazione, con noi imparò a parlare lo spagnolo, che all’inizio era zoppicante. Lui aveva, nei nostri confronti, una strategia ben precisa: voleva che fossimo sempre occupati, impegnati, per ridurre il rischio che prendessimo una strada sbagliata, cosa, purtroppo, ben frequente in Perù. In particolare, ci portava sempre con lui a lavorare la terra, a coltivare un orto che aveva creato. Ci dava qualche soldo, e ci faceva lavorare. In pratica, ci insegnava a fare fatica, a lavorare, ma anche a saper gestire i primi guadagni”.

Contemporaneamente, padre Prevost, assieme alla sua “squadra” di ragazzi e giovani, andava di villaggio in villaggio: “Diceva messa, incontrava le persone, noi lo seguivamo con il gruppo dei chierichetti”. Ma c’era spazio anche per l’amicizia e il tempo libero: “Furono promossi dei weekend per ragazzi e giovani, oppure, in altre occasioni, andavamo tutti al cinema. Fece un grande lavoro, e sempre umile, con il sorriso… tale e quale rispetto al Papa Leone che, con grande emozione, ho visto per televisione, in queste settimane”. Dunque, riassumendo, l’accompagnamento del giovane agostiniano nei confronti delle giovani generazioni fu connotato “da un’attenzione complessiva, integrale, attenta ai vari aspetti della crescita di un giovane, sempre rivolta alla missione, come del resto fece qualche anno dopo, a Trujillo, quando tornò in Perù. Nel momento in cui lasciò Chulucanas, noi fummo molto dispiaciuti. In seguito, ho tenuto il contatto con lui, gli scrissi quando diventò cardinale e mi rispose prontamente”.

A Trujillo grande attenzione per le nuove generazioni. Spostiamo il calendario in avanti di alcuni anni, e andiamo nella maggiore città del nord del Perù, Trujillo, che dista da Chulucanas circa 500 chilometri. Qui, padre Prevost arrivò nel 1988, e vi restò fino al 1999, con il compito di dirigere la casa di formazione degli aspiranti agostiniani. Il suo fu, però, un servizio pastorale a 360 gradi: l’attenzione vocazionale, l’insegnamento, la cura pastorale, esercitata nella cappellania di Nostra Signora Madre della Chiesa, eretta successivamente parrocchia con il titolo di Santa Rita, nella periferia povera della città, e nella parrocchia di Nostra Signora di Monserrat. A collaborare con lui ci fu anche padre John Joseph Lydon, confratello agostiniano e connazionale.

Un amico dell’attuale Papa, che ebbe un ruolo importante nel farlo “tornare” in Perù, dopo l’esperienza di Chulucanas. Da New York ci racconta: “A livello pastorale, lavorammo molto con i laici, mettendo in pratica alcune intuizioni già sperimentate a Chulucanas. L’attività era imperniata su di loro, e c’erano anche molti giovani, con varie iniziative di formazione, che si affiancavano a quelle per i seminaristi. Non si trattava di qualcosa di staccato, fin da allora c’era l’idea che i futuri sacerdoti dovessero stare accanto al popolo, la prospettiva era pastorale. Mi ricordo, in particolare, l’esistenza di un numeroso gruppo giovanile, che si impegnava molto anche nella solidarietà con i poveri delle parrocchie”. E padre Prevost? “Con i giovani, in particolare, sapeva essere amico, aveva uno stile di grande prossimità, e così pure con i poveri. Era un uomo di dialogo”.

Un racconto, quello di padre Lydon, per molti aspetti coincidente con quello di padre Ramiro Castillo Castro, oggi, a Trujillo, superiore maggiore degli agostiniani del Nord del Perù, all’epoca uno di quei giovani aspiranti agostiniani in formazione che erano guidati da padre Prevost: “Fu mio formatore e mio padre spirituale”, ricorda. Ed era molto attento ai giovani: “Con il suo carattere tranquillo, si sentiva molto impegnato verso di loro, e al tempo stesso, gli stava a cuore che maturassero una mentalità missionaria. Ricordo che esortava noi giovani, sia che fossimo in formazione per il sacerdozio, sia i laici, a visitare le differenti zone pastorali delle parrocchie. Come spesso accade in America Latina, nei vari quartieri e villaggi si organizzavano delle piccole comunità, con alcune decine di famiglie. Padre Robert inviava i giovani, a due o a tre, proprio in queste comunità. Alcune volte, ne mandò alcuni verso i monti, verso la Sierra de Piura”.

Poi c’erano, naturalmente, gli incontri del gruppo dei giovani: “Si ritrovavano in venti o trenta, il venerdì, e padre Prevost era quasi sempre presente, e aveva una notevole capacità organizzativa. Poi, quando prese la cura pastorale della parrocchia di Monserrat, dimostrò, anche in questo caso, una grande attenzione per i giovani, e la messa del sabato sera era loro dedicata”. Padre Ramiro attende, ora, con curiosità il primo incontro tra il Papa e i giovani, al Giubileo: “Di sicuro, non ha perso questa ‘opzione per i giovani’, i tempi sono cambiati, ma sono certo che, anche da Papa, conserverà la capacità di dialogare con le nuove generazioni, e darà grande risalto a questa attenzione pastorale, così come alle vocazioni”.