Giubileo 2025
Giubileo giovani: vescovo Beirut, “fede diversa non è ostacolo”
La testimonianza di mons. Cesar Essayan e di alcuni giovani del Consiglio del Mediterraneo

“La convivenza con chi ha una fede diversa è per noi un’occasione per prendere coscienza di chi siamo. La diversità non è un ostacolo, ma una chiamata alla condivisione e alla comunione”. A testimoniarlo è stato stamattina mons. Cesar Essayan, vicario apostolico dei Latini di Beirut, durante la catechesi “Coscienza e dialogo”, parte del ciclo delle “12 parole per dire speranza” organizzato per il Giubileo dei giovani. Il dialogo e la convivenza non chiede mai per il vescovo di rinunciare a qualcosa di sé: “Un mussulmano, quando vede un cristiano che rinuncia ad un segno della propria fede, capisce che chi ha davanti non è una persona credibile. Nessuno fa compromessi su Dio per un uomo”, ha detto, in riferimento agli episodi in cui in Europa si ha paura di offendere la sensibilità altrui collocando presepi in luoghi pubblici o crocifissi nelle aule scolastiche. “Io, quando incontro un mussulmano che ha quattro mogli, non ne vengo né offeso né scandalizzato”, ha continuato. Quel che conta davanti agli altri è invece testimoniare fino in fondo ciò in cui si crede: “A contare non sono nemmeno i numeri dei fedeli, ma piuttosto la fedeltà al Vangelo e a Gesù Cristo, l’essere pronti a dare testimonianza della Speranza che è in noi. È questo che ci rende visibili e attrattivi. È questo che permette alla fede di propagarsi e agli altri di riconoscere la presenza di Cristo in noi”, ha concluso.
All’incontro anche la testimonianza di alcuni giovani. “Ci sentivamo abbandonati, eravamo come bambini che avevano visto troppo e troppo presto, bisognosi di un abbraccio”. Inizia così Théa Ajami, giovane cattolica di rito latino di Beirut, parte del Consiglio dei giovani del Mediterraneo, il racconto del conflitto in Libano. Anche in mezzo all’incertezza, però, “è successa una cosa meravigliosa” racconta. “Chiese, case e scuole hanno aperto le loro porte e sono diventate centri di accoglienza per i profughi del sud del Paese, senza fare differenze di religione”. È questo uno dei segni tangibili di speranza che Théa ha visto nel Libano in guerra. “I bambini avevano la paura negli occhi e il silenzio sulle labbra, ma, seguendo le attività che proponevamo loro, lentamente si sono aperti. Non stavamo soltanto accogliendo, ma guarendo” dice. Anche lei riconosce il peso che i suoi connazionali portano, ma non si ferma lì. “A volte mi sento stanca davanti a questo dolore, ma la sera, nel silenzio, l’unico rifugio che ho è la preghiera. È lì che la disperazione si fa speranza. Lì riconosciamo che nessuno è abbandonato, nessuno è orfano” afferma. E tra i giovani è il dialogo a fare intravedere un orizzonte di pace possibile. “Le nuove generazioni hanno l’opportunità di offrire nuovi punti di vista e una nuova narrazione della storia. Così si stanno ricomponendo fratture che prima sembravano insanabili”, aggiunge Jeanne-d’Arc Davoul-beyukian, giovane di Beirut, rappresentante della Chiesa armena cattolica nel Consiglio dei giovani del Mediterraneo.