Vita Chiesa

Gli spari, la paura, la preghiera. 40 anni fa l’attentato al Papa

Le 17,17 del 13 maggio. Difficile dimenticare l’ora e il giorno. Nel calendario vaticano la data indica la memoria liturgica delle apparizioni della Madonna a Fatima. Questo fino a quel 13 maggio 1981. Quel giorno cambia la storia, accade un fatto impensabile: il tentativo di uccidere il Papa in piazza San Pietro. La campagnola bianca attraversa il lato destro della piazza tra due ali di folla; Giovanni Paolo II, in piedi, benedice e saluta. Una mano, tra la folla, impugna una pistola, una Browning, e viene colta dallo scatto di un fotografo. Il Papa si china per baciare una bambina, Sara, un fagottino di appena diciotto mesi. Per l’attentatore non è più il momento di sparare. La campagnola gira per tornare verso il centro della piazza. È la seconda occasione: si sentono alcuni colpi di pistola, due, forse tre. A sparare è Mehmet Ali Agca. Il primo proiettile colpisce l’indice della mano sinistra di Papa Wojtyla, per poi penetrare in profondità nella zona addominale; il secondo, lo colpisce di striscio per poi ferire leggermente due donne americane. Un proiettile, forse il terzo, verrà successivamente trovato tra i sedili della campagnola. Il Papa resta immobile per un istante, poi lentamente si accascia sorretto dal segretario particolare e dall’aiutante di camera Angelo Gugel. Le sue condizioni sono molto gravi. Un’ambulanza corre verso il Policlinico Gemelli. Don Stanislao Dziwisz, segretario di papa Wojtyla e oggi cardinale, arcivescovo emerito di Cracovia, ricorda che durante il tragitto è sempre stato cosciente, ha pregato sottovoce, ha perdonato il suo attentatore. Viene portato al decimo piano di quello che chiamerà il Vaticano terzo. Poi in sala operatoria. La cronaca qui si ferma, poi si entra in un’altra pagina fatta di storia, di mistero, e, per chi crede, di eventi che profumano di miracolo.

Il primario della clinica chirurgica del Gemelli, che avrebbe dovuto operare il Papa, è a Milano. L’altro chirurgo non è di turno quel giorno, e si trova a casa: si chiama Francesco Crucitti. Ma inspiegabilmente, è lui stesso a raccontarlo, una forza misteriosa lo costringe a salire in macchina e dirigersi verso il Gemelli. Apprende dalla radio la notizia dell’attentato a Giovanni Paolo II. Pochi minuti e si trova già in sala operatoria; l’intervento durerà più di 5 ore. Altro fatto incredibile, il percorso del proiettile: penetrato nell’addome, i medici raccontano, non ha toccato l’aorta, l’arteria iliaca, la spina dorsale e vari centri nervosi, ma ha tagliato in più punti l’intestino: un percorso a zig zag viene definito.

Uscito dall’anestesia il Papa dirà: «dolore», «ho sete». E poi «come a Bachelet», l’ex presidente dell’Azione cattolica italiana e vice presidente del Csm, ucciso il 12 febbraio 1980 dalle br all’università La Sapienza di Roma. Al Gemelli si recherà subito il presidente Sandro Pertini, che vi trascorre gran parte della notte.

In piazza San Pietro, Agca, pistola in mano, si trova a fare i conti con una suora francescana energica e determinata che lo blocca a terra. Racconterà poi suor Letizia Giudici: «quando il Papa è passato improvvisamente ho sentito dei colpi, che per un attimo ho scambiato per dei fuochi d’artificio, convinta che qualcuno volesse festeggiare il santo Padre. Invece mi sono trovata davanti quest’uomo con una pistola in mano che ha cominciato a indietreggiare, minacciando di far fuoco».

Mehmet Ali Agca, trattenuto dalle mani di suor Letizia, viene preso in consegna dalla polizia, e condotto alla Questura centrale di Roma. Lì griderà: «io solo, io solo». È l’inizio di una sceneggiata che lo vedrà cambiare più volte motivazioni e versione dei fatti. Intanto si scopre che in occasione della visita del Papa in Turchia, dal 28 al 30 novembre 1979, Agca, militante dei «Lupi grigi», organizzazione terroristica di estrema destra, aveva minacciato di morte «il comandante di crociate Giovanni Paolo II». È nel carcere di massima sicurezza Kartal Maltepe, ma, inspiegabilmente, evade il 25 novembre, proprio alla vigilia dell’arrivo del Papa.

In Italia è condannato all’ergastolo; sarà poi graziato dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Il Papa lo andrà a trovare il 27 dicembre 1983. Le immagini dell’incontro, nel carcere di Rebibbia, tra Giovanni Paolo II e il suo attentatore fanno il giro del mondo, la mano del Papa stretta sul braccio di Agca. Per i giudici italiani l’attentato venne preparato da un’organizzazione eversiva rimasta nell’ombra. Agca dice di aver agito da solo. Nell’inchiesta entreranno altri nomi: Yomer Ay, alias Galip Ilmaz, fortuitamente fotografato in piazza San Pietro mentre, correva per uscire dal colonnato. Poi Oral Celik, che sarebbe dovuto intervenire nel caso Ali Agca avesse fallito; e Serghiei Ivanov Antonov, capo scalo di Balkan air, le linee aeree bulgare. Saranno poi tutti assolti.

Agca lancia l’ipotesi della pista bulgara, che trova una sostenitrice in Claire Sterling, scrittrice e giornalista americana, morta a Arezzo nel 1995, secondo la quale Agca ha agito su istigazione dei servizi bulgari e sovietici. Lo scrive sul Reader’s Digest il 16 agosto 1982. Agca parla anche di ufficiali dei servizi segreti americani che gli avrebbero suggerito di accusare Bulgaria e Russia. Poi, svelata la terza parte del segreto di Fatima nel 2000, ecco il legame tra l’attentato e i messaggi e le apparizioni mariane; dirà di essere stato «strumento inconsapevole di un disegno misterioso». In due libri racconterà altre verità, affermerà di essere la reincarnazione di Cristo, di voler riscrivere la Bibbia e preannuncia l’apocalisse. Nelle sue dichiarazioni anche la vicenda di Emanuela Orlandi, la ragazza, cittadina vaticana, rapita e scomparsa nel 1983, di cui sosterrà di conoscere il luogo dov’è tenuta. Il primo febbraio 2013, affermerà di aver agito su ordine dell’Ayatollah Khomeini, che gli aveva ordinato di uccidere «il portavoce del diavolo in terra».

Molti i punti oscuri in questa vicenda, troppe domande senza risposta: chi ha permesso e organizzato la sua evasione dal carcere turco di massima sicurezza? Quali erano le sue basi logistiche e di finanziamento in Turchia, Iran, Bulgaria, Svizzera, Germania, Francia, Tunisia, Spagna e Italia; chi gli ha dato i 75 milioni di lire spesi nei suoi spostamenti. Con chi è stato in contatto prima e dopo l’assassinio di Ipecki, e prima dell’attentato in piazza San Pietro? E soprattutto chi è il mandante, e quali gli scopi?

Papa Wojtyla non si cura di queste farneticazioni. Sei giorni dopo il ricovero al Gemelli registra un breve discorso al Regina Coeli, nel quale ringrazia i fedeli per le preghiere e la vicinanza. Poi aggiunge: «Prego per il fratello che mi ha colpito, al quale ho sinceramente perdonato. Unito a Cristo, sacerdote e vittima, offro le mie sofferenze per la Chiesa e per il mondo. A te Maria ripeto: Totus tuus ego sum».

Torna in Vaticano il 7 giugno, festa di Pentecoste; nel pomeriggio, affida il mondo a Maria: «O Madre degli uomini e dei popoli, tu conosci tutte le loro sofferenze e le loro speranze, tu senti maternamente tutte le lotte tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre che scuotono il mondo […] Prendi sotto la tua protezione materna l’intera famiglia umana che, con affettuoso trasporto a te, o Madre, noi affidiamo».

Il 14 agosto, dopo un secondo ricovero al Gemelli, dirà ai cardinali e vescovi, che lo accolgono nel Cortile di San Damaso: «Ho fatto una visita a san Pietro per dirgli grazie per aver voluto lasciare in vita il suo successore. Ho visitato poi le tombe di Paolo VI e Giovanni Paolo I perché accanto a esse poteva già esserci una terza tomba».

Si fa portare il testo della terza parte del segreto di Fatima, che sarà svelato nel 2000, e il 7 ottobre 1981 all’udienza generale dirà: «Il Signore mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva […] Sono divenuto debitore della santissima Vergine e di tutti i Santi Patroni. Potrei dimenticare che l’evento in piazza San Pietro ha avuto luogo nel giorno e nell’ora nei quali da più di sessant’anni si ricorda a Fatima nel Portogallo la prima apparizione della Madre di Cristo?».

A Fatima ha mandato il proiettile – è incastonato nella corona della Madonna – e il 13 maggio 2000, presente papa Wojtyla, viene letta, dal cardinale Angelo Sodano, la terza parte del segreto: «La visione di Fatima riguarda soprattutto la lotta dei sistemi atei contro la Chiesa e i cristiani». Un’«interminabile Via Crucis guidata dai Papi del XX secolo […] Il vescovo vestito di bianco che prega per tutti i fedeli è il Papa. Anch’egli, camminando faticosamente verso la croce tra i cadaveri dei martirizzati (vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e numerosi laici) cade a terra come morto, sotto i colpi di arma da fuoco. Dopo l’attentato del 13 maggio 1981, a sua Santità apparve chiaro che era stata una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola, permettendo al Papa agonizzante di fermarsi sulla soglia della morte».