Cultura & Società
Hiroshima, 80 anni dopo: l’atomica ancora ci minaccia
Il 6 e 9 agosto 1945 i bombardamenti atomici sul Giappone che posero fine alla Seconda guerra mondiale. Un anniversario che interroga la coscienza collettiva

L’escalation nucleare è la minaccia che incombe sulle guerre che lacerano il nostro tempo. Dal Medio Oriente, all’Iran e all’Ucraina. Per fortuna – finora – è più un’intimidazione teorica, uno spauracchio che fa da deterrente, che una soluzione reale ai conflitti. Ma ottant’anni fa fu proprio la bomba atomica, usata dagli americani contro il Giappone, a mettere fine alla Seconda guerra mondiale. Come dire: fu una scelta estrema ma inevitabile. Ma è vero? Oggi torniamo a chiederci se quella decisione fu giusta o sbagliata. Se davvero servivano 200.000 morti sul colpo a Hiroshima e Nagasaki, più le altre migliaia uccise dall’effetto delle radiazioni che hanno causato morte e malattie per molti anni, per costringere l’irriducibile Giappone alla resa e concludere cinque anni di guerra.
Il sistema mondiale che è sfuggito ormai al controllo degli organismi di pace, ci induce a un giudizio più severo: era necessario effettuare un bombardamento cosi distruttivo contro un Paese che di fatto era già stato sconfitto? Chi ritiene ancora giusto l’uso della bomba atomica americana, sottolinea che ha consentito di mettere fine immediatamente alla guerra e risparmiare milioni di vite. Per ottenere la resa del Giappone, l’alternativa alla bomba sarebbe stata l’invasione del Paese, che, secondo le stime del Pentagono, avrebbe provocato centinaia di migliaia di vittime solo tra i soldati statunitensi e un numero di morti complessivo di gran lunga superiore a quello dei bombardamenti atomici. La fine della guerra, dicono ancora i favorevoli, consentì la liberazione immediata dei prigionieri alleati, che subivano continue efferatezze dai loro carcerieri, e impedì ai soldati giapponesi di commettere altre atrocità nei territori che occupavano. Trasposta ai giorni nostri, la situazione è troppo tragicamente simile ai fatti di Ucraina e Gaza per non legittimare paure e temere i ricorsi della Storia. C’è una continuità di orrori lunga ottant’anni. Anche se mai l’umanità è stata così vicina a una nuova apocalisse come oggi.
Di certo c’è che nel 1945 gli americani hanno cambiato il mondo fino ai giorni nostri. Andò così. Alba del 6 agosto, Hiroshima: il presidente Truman ordinò di sganciare l’ordigno più devastante della Storia. Il Giappone fu l’ultimo Paese ad arrendersi, dopo la Germania. Ed è proprio quello che aveva giustificato l’entrata nel conflitto degli americani, con l’aggressione a sorpresa di Pearl Harbour, che devastò la forza Usa nel Pacifico. Però l’atomica aveva anche un altro scopo, probabilmente secondario ma da non sottovalutare: e cioè mandare un avvertimento a Stalin, che nel frattempo aveva dichiarato guerra al Giappone attaccando la Manciuria, con il quale già si profilava la rivalità che avrebbe poi dato luogo alla Guerra fredda fra Usa e Urss.
Little boy – questo il nome dato alla bomba – fu il primo messaggio di morte, sganciato dall’aereo Enola Gay su Hiroshima. Il pilota incaricato di guidare il bombardiere B- si chiamava Paul W. Tibbets Jr., aveva all’epoca trentun anni: l’aereo portava il nome di sua madre.
La prima incursione non bastò a piegare i giapponesi, che oltretutto consideravano nobile sacrificare la propria vita e ritennero di non arrendersi così «facilmente». Non si spaventarono nemmeno dopo gli avvertimenti degli Stati Uniti, che inviarono messaggi radio e volantini alla popolazione.
Il 9 agosto 1945 gli americani sferrarono dunque il colpo di grazia con il secondo raid atomico, questa volta su Nagasaki. In un primo momento l’obiettivo doveva essere la città di Kokura, ma l’eccesso di nubi costrinse il comandante a cambiare obiettivo. Di fronte a tanta inedita devastazione, il Giappone fermò l’offensiva bellica.
Finì la guerra ma cominciò la corsa all’ordigno più potente e devastante che l’uomo abbia saputo realizzare. Gli scrupoli morali degli scienziati, che ben conoscevano gli effetti di ciò che avevano creato, non condizionarono le decisioni degli Stati che si trovarono a poter disporre di uno strumento di distruzione mai visto.
I rimorsi presero invece uno dei militari che parteciparono all’operazione. Claude Robert Eatherly venne assalito dall’angoscia quando si rese conto di quello che il raid aveva provocato. Pensava fosse una missione come le altre. Dalla sua postazione rimase terrorizzato dall’esplosione e vide Hiroshima scomparire dentro una nube gialla. Solo quando tornò alla base seppe della devastazione e della grande perdita di vite umane causate dallo scoppio. Fu decorato come gli altri ma si congedò e rifiutò la pensione che lo Stato americano assegnò ai protagonisti. Volle che fosse devoluta alle vedove dei caduti di guerra. Eatherly visse ossessionato dai ricordi, ricoverato in ospedali psichiatrici dopo aver tentato il suicidio.
Questi eventi segnarono l’inizio dell’era atomica e ebbero un impatto devastante sulla storia dell’umanità. Le conseguenze andarono oltre la fine del conflitto. Indussero l’Unione Sovietica ad accelerare i programmi per dotarsi di ordigni nucleari, e già quattro anni dopo, nel 1949, l’Urss effettuò il primo test atomico.
Ecco perché l’anniversario dell’apocalisse atomica è un’occasione per riflettere sulla Storia, sulla responsabilità della scienza e sulla necessità di lavorare per un futuro libero dalle armi nucleari. Il 2025 è un anno significativo per commemorare Hiroshima e Nagasaki ma anche per riflettere sul pericolo rappresentato dalle armi nucleari.
Ormai è impossibile tornare indietro, ma non va perso di vista l’obiettivo di promuovere il disarmo e la pace. Soprattutto da parte degli organismi di controllo come quello rappresentato dall’Onu, ancorché purtroppo svuotato del suo potere di indagine sugli arsenali nucleari dei Paesi sotto osservazione. In primo luogo l’Iran. L’evoluzione del conflitto in Medio Oriente e il possibile aumento degli attacchi ai siti nucleari, sollevano interrogativi sulla capacità dell’Iran di collaborare con l’Agenzia delle Nazioni unite per monitorare e contenere eventuali fughe radioattive. La situazione geopolitica e la mancanza di fiducia complicano ogni ipotesi di intervento esterno.
Quanto sono vere le parole di Albert Einstein: il grande fisico, pacifista, con il suo lavoro teorico gettò le basi per la comprensione dell’energia atomica, ma non partecipò al «Progetto Manhattan». E mai ne approvò l’utilizzo militare. L’ironia amara dello scienziato sottolineò come l’umanità, con la sua intelligenza avesse creato un’arma di distruzione così potente, mentre gli animali, guidati dall’istinto, lo avrebbero certamente evitato: «L’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi».