Opinioni & Commenti

I dieci anni di Facebook, il luogo virtuale dove tutto è possibile tranne «linkare» l’umanità

Mark Zuckerberg, fondatore e Ceo di Facebook in questi dieci anni è stato oggetto di critiche, elogi, invidie e gelosie. Su di lui si è scritto e si è detto molto: libri, post, articoli, commenti, editoriali e pure un film dal titolo The Social Network, di David Fincher.

Mr Zuckerberg e i suoi compagni Dustin Moskovitz, Eduardo Saverin, Andrew McCollum e Chris Hughes diedero vita alla rete sociale più utilizzata al mondo il 4 febbraio 2004. Nel settembre di due anni dopo Facebook mise sotto vuoto fenomeni come MySpace e Second Life. Di punto in bianco in tanti diedero addio ai Pen Pals, il mondo degli amici di penna. Era più immediato postare foto e messaggi sulla bacheca di Fb.

È cambiato anche il modo di scambiarsi gli auguri e di informarsi. Oggi le ultime news si condividono attraverso Instant Article mentre si può dar vita alle dirette on line con Facebook Live. Insomma sembra quasi che su Fb si possa fare tutto. Si, tutto tranne che bere un caffè insieme, stringersi la mano, sentire il calore e l’affetto di un abbraccio. No, quello no. Quello Facebook non lo sa fare. Tutto può fare tranne che «linkare» l’umanità profonda e periferica delle persone.

Nell’ambiente intimistico e mediato di Fb ci si può commuovere davanti a foto e video di tragedie o sorridere davanti alle clip virali dell’ennesimo gattino batuffoloso, ma vivere un’esperienza di empatia condivisa no. Facebook ha contribuito a farci ritrovare i vecchi compagni di banco e ci ha traghettato nel mare della «modernità liquida» per citare Zygmunt Bauman, ma è incapace di far toccare con mano l’esperienza e il fascino del limite umano. Quel limite che per Emmanuel Levinas era alla base dell’alterità. Su Facebook, viceversa, non ci sono limiti, ma filtri. Basta andare su «impostazioni» e cambiare profilo e configurazione. Sì, Facebook ha cambiato il nostro modo di relazionarci con gli altri e ci ha fatto superare la dicotomia tra virtuale e reale, ma scorrendo in controluce le faccine delle persone che si aggiungono alla schiera di amici si prova la stessa sensazione vissuta da Novecento nel film La leggenda del pianista sull’Oceano di Giuseppe Tornatore: la scoperta di un’umanità che perde di vista il confine e la consapevolezza della propria identità. È così che Fb si scopre uno strumento. Solo e semplicemente uno strumento e che le degenerazioni non dipendono dalle sue funzionalità, ma da coloro che lo usano e lo abusano.

Da quel 26 settembre 2006 il concetto di «amicizia» è cambiato, il significato di «Gratis» (per citare un libro di Chris Anderson, già autore de La coda lunga) non è più sinonimo di dono. Ma chi ha acconsentito ad abbassare il livello al di sotto della soglia? Zuckerberg e company? I social media? Troppo facile dare la colpa allo strumento o peggio ai suoi inventori. Piuttosto è necessario approcciarsi a Facebook con una consapevolezza di fondo: quando si usa Fb è come aprire la porta di casa per spostarsi in un’agorà dove alla base del vivere civile deve esserci innanzitutto discernimento tra ciò che è pubblico e quello che è privato. Infine è imprescindibile abituarsi a usare Fb e gli altri social con buon senso e responsabilità finalizzando l’uso dello strumento all’incontro autentico con gli altri.