Italia

I funerali a Roma dell’alpino Tiziano Chierotti, ucciso in Afghanistan

«L’offerta della vita di Tiziano non è un fallimento nella costruzione della pace, vogliamo credere a un amore che non viene meno di fronte alla malvagità e alla morte. Dinanzi alla morte di Tiziano ci affidiamo a Dio con l’atteggiamento di un bambino che corre tra le braccia della madre. Anche se ingiusta e innocente, questa morte risveglia l’audacia di uscire non fuori dalla ragione ma tuffarci dentro una ragione più grande” più profonda. Lo ha detto l’arcivescovo ordinario militare per l’Italia (Omi), Vincenzo Pelvi, celebrando questo pomeriggio a Roma le esequie solenni del caporal maggiore Tiziano Chierotti, 24 anni, appartenente al 2° Reggimento Alpini, di stanza nella caserma di San Rocco Castagnaretta, nel cuneese, ucciso il 25 ottobre, in Afghanistan, in uno scontro nel distretto di Bakwa, a sud di Herat, nel corso di un’operazione della Task Force South East, condotta insieme all’unità del 207esimo Corpo dell’esercito afgano, necessaria per mettere in sicurezza il vicino villaggio di Siav.

«La tua vita, Tiziano, non è morta, solo dorme. E questa speranza converte il nostro istinto di morte in istinto di vita – ha affermato mons. Pelvi – la vita di Tiziano, come il diario che quotidianamente scriveva, ha pagine che si possono girare, non strappare. Per leggere e interpretare anche le pagine oscurate dalla sofferenza, occorre la luce della fede, riscoprire la presenza di Gesù, che passa accanto per lenire le ferite e continuare il cammino con noi. Non ci addita scorciatoie e sentieri privilegiati. L’unica strada rimane quella faticosa che egli ha percorso, ma che porta alla pace”. Una pace, per l’arcivescovo militare, “non per dormire, ma per vivere. Non per anestetizzare le proprie sofferenze, bensì per poterle offrire e renderle feconde. Non per dimenticare i bisogni degli altri, ma per servirli. Tiziano è stato prigioniero della speranza. Non una speranza pura proiezione dei propri desideri, ma quella che conduce a vivere l’insperato verso i deboli ed emarginati, persino nelle situazioni senza via d’uscita. Tale speranza genera uno slancio di creatività che rovescia i determinismi dell’ingiustizia, dell’odio, dell’oppressione. E’ una speranza quella di Tiziano che può reinventare il mondo”. “Tiziano – ha proseguito mons. Pelvi – ha saputo uscire dalle proprie sicurezze e schemi mentali per spargere generosamente il seme della fraternità, dell’amicizia e del calore umano. Appassionato custode della dignità umana, pronto a dare ragione di una professione dove la solidarietà viene spesso pagata con la consegna della vita. Lontano dalla Patria, ha messo la sua tenda nel deserto, dove nulla è garantito e tutto è ancora da costruire, credendo all’amore che lo ha avvicinato a coloro dai quali poteva anche stare lontano. Tiziano ha lasciato i suoi angoli bui, la vita seduta, le vecchie strade e per lui si sono aperte le ali che non sapeva di avere”.

“Nel servire l’uomo non abbiamo alcun interesse da salvaguardare o da conservare – ha ribadito mons. Pelvi – Non abbiamo potere tra i fratelli afgani della montagna e quelli della pianura ma siamo in quella terra martoriata come a casa di un amico, di un fratello bisognoso a cui stringere la mano fidandoci della delicata vibrazione del cuore. Non possiamo abbandonare i popoli che soffrono. All’altare del Signore anche parole di odio e di inimicizia per chi uccide svaniscono dall’animo perché chi uccide non sa quello che fa; chi ammazza rimane l’amico dell’ultimo minuto. L’umanità intera è chiamata a costruirsi come una famiglia di popoli che, mentre si riconoscono e si accettano sulla base della verità, vivono rapporti di mutuo sostegno, ossia vivono con gli altri, per gli altri, negli altri e grazie agli altri”. “Lo sviluppo nel bene della famiglia umana, ovvero la pace, opera complessa ed eroica, – ha concluso l’arcivescovo militare – esige persone con mente e cuore nuovi, trasfigurati, a servizio di una progressiva integrazione europea e mondiale”.