Italia
I martiri della speranza
di Michela Cubellis
I missionari uccisi: speranza per il mondo» è il tema della XV Giornata di preghiera e di digiuno per i missionari «martiri», promossa il 24 marzo dal Movimento giovanile delle Pontifice opere missionarie. Nata quindici anni fa, l’iniziativa si è estesa ormai in diversi Paesi che ogni anno nella data dell’assassinio di mons. Oscar Romero, arcivescovo di S. Salvador (1980), ricordano in molte diocesi anche tutti i missionari morti nel mondo al servizio del Vangelo. Nel 2006 sono stati 24 (tra sacerdoti, religiosi e laici), secondo l’agenzia Fides della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, i missionari uccisi nei luoghi dove prestavano il loro servizio.
Uomini e donne come don Andrea Santoro e suor Leonella Sgorbati che si sono fatti artigiani di pace cercando di alleviare con la loro opera, fino al sacrificio della propria vita, condizioni di degrado umano e di povertà in ogni angolo del mondo. A loro è dedicato il primo numero del 2007 de L’Animatore missionario, trimestrale delle Pontificie opere missionarie. «Anche quest’anno si legge nell’introduzione al numero monografico che si offre come sussidio di animazione in vista della giornata sta davanti a noi una folla di testimoni di ogni lingua, razza, popolo e nazione che hanno fatto della loro vita un dono e un segno di speranza per l’oggi. Di fronte a un mondo che ha sempre più paura del futuro, di fronte a uomini e donne che non sono più capaci di guardare in alto, i missionari uccisi ci invitano ad essere ancora più forti nella fede e a credere che una vita spesa per amore ha la possibilità di trasformare le coscienze».
I TRE MARTIRI ITALIANI
«Un coraggioso testimone del Vangelo della carità» che «svolgeva con generosità e zelo apostolico il ministero del Vangelo a servizio delle persone bisognose ed emarginate». Con queste parole Papa Benedetto XVI definiva, all’indomani dell’assassinio in Turchia per mano di un fondamentalista, don Andrea Santoro , il sacerdote romano «fidei donum» ucciso il 5 febbraio 2006 (nella foto il card. Ruini benedice la salma del sacerdote). Dopo don Santoro la Chiesa italiana torna a confrontarsi con il sacrificio dei suoi missionari. Mons. Bruno Baldacci , 63 anni, originario della diocesi di La Spezia, viene ucciso il 30 marzo nella sua parrocchia nello stato di Bahia in Brasile. Il sacerdote viene ritrovato nel suo letto con il corpo ricoperto di ematomi, particolare che fa pensare ad un tentativo di rapina da parte di alcuni giovani. Probabilmente gli stessi ragazzi dediti al consumo di droga che il sacerdote stava aiutando con un programma di recupero. Il 17 settembre 2006 viene uccisa in Somalia, a Mogadiscio, la missionaria italiana della Consolata suor Leonella Sgorbati . La suora è colpita a morte mentre si recava all’ospedale in cui prestava servizio e dove aveva dato vita ad una scuola infermieristica. «Perdono, perdono» le sue ultime parole, pronunciate al termine di un’esistenza interamente donata. Guidate da suor Leonella, le Sorelle della Consolata avevano scelto di rimanere in Somalia anche durante i 16 anni di guerra. Periodo in cui il cammino di queste missionarie è scandito da un silenzioso martirio quotidiano.
AGGRESSIONI E RAPINE
Il conteggio degli operatori pastorali in missione uccisi nel 2006 dell’agenzia Fides non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutto il personale ecclesiastico che ha sacrificato la propria vita consapevole del rischio che correva pur di non abbandonare il proprio impegno di apostolato. Persone provenienti da tutti i continenti il cui assassinio si deve spesso ad aggressioni, rapine e furti perpetrati in contesti sociali di particolare violenza e degrado. Come padre Waldyr Dos Santos, gesuita brasiliano, 69 anni, e la volontaria laica portoghese Idalina Neto Gomes , 30 anni, uccisi insieme nel novembre 2006 da un gruppo di uomini armati in Mozambico. Idalina, avvocato, faceva parte dell’associazione portoghese «Laici per lo sviluppo» e si trovava nella comunità dei gesuiti con altri membri dell’associazione. In questa zona di frontiera tra Mozambico, Malawi, Zambia, Zibabwe, dove i gesuiti hanno una lunga storia dedicata a progetti di sviluppo, la delinquenza ha ripetutamente colpito le missioni cattoliche e le comunità religiose.
DALL’AFRICA ALL’OCEANIA
Tra i continenti dove si è registrato il maggior numero di vittime è l’Africa al primo posto. Il Paese ha visto la morte violenta di 9 sacerdoti, una religiosa e una volontaria laica. Il secondo continente per numero di vittime è l’America dove sono stati uccisi sei sacerdoti, una religiosa e un laico. Tra le vittime in questo Paese si ricorda suor Karen Klimczak , 62 anni, delle Suore di S. Giuseppe di Buffalo, uccisa a New York il 14 aprile in una casa di accoglienza per ex detenuti da un ospite che l’ha aggredita per rapina. Ancora, il cooperatore salesiano Johnny Morales ucciso l’8 dicembre. Johnny, 34 anni, collaborava con il «Centro Salesiano P. Sergio Checchi» e pochi giorni prima dell’assassinio era stato destinato alla frontiera di Tecún Umám (Messico), dove c’è un elevato livello di narcotraffico e contrabbando. L’Asia infine è stata bagnata dal sangue di due sacerdoti, una religiosa e un laico. Mentre l’Oceania ha versato il suo contributo alla causa del Vangelo con il martirio di un religioso del Fatebenefratelli ucciso a Port Moresby, in Papua Nuova Guinea.