Opinioni & Commenti

I moderni martiri della persecuzione

Tuttavia questa ultima indagine più di ogni altra riporta sull’argomento cifre e giudizi spaventosi e drammatici ancora più terribili di quelli che già si conoscevano. Le vittime delle persecuzioni sarebbero, secondo i calcoli del Center for the Study of Global Christianity, addirittura intorno ad un milione negli ultimi dieci anni. Per avere un qualche termine di paragone con i martiri che siamo abituati a trovare nel calendario val la pena ricordare che gli storici sono riusciti a contare al massimo poco più di centomila vittime in tre secoli durante tutte le persecuzioni degli imperatori romani. Nel libro più recente inoltre si riporta un parallelo fra le persecuzioni degli ebrei e quelle dei cristiani fatto dal gran rabbino di Francia Haim Korsia che insieme fa pensare e tremare perché, per quanto riguarda le vessazioni, come nella successione fra Vecchio e Nuovo Testamento la sorte dei primi avrebbe anticipato quella dei secondi.

Certamente sul piano storico si può dire tutto e a ragione contro la «pulizia confessionale» che ormai è praticata in tanti paesi del pianeta dal mondo islamico al mondo indù, contro l’indifferenza sostanziale anche del mondo occidentale verso un così sistematico macello dei diritti umani, contro la mancanza di una pur minima reazione concreta da parte delle grandi organizzazioni internazionali, contro la rivalsa di ritorsioni e di sanzioni che possono addirittura alimentare le persecuzioni anziché frenarle.

E tuttavia se la persecuzioni dei cristiani non è alla fine una eccezione ma la regola per il credente c’è sempre più bisogno anche di un perché da chiedere alla teologia oltre che alla storia, da domandare guardando in alto e non solo in basso. È impossibile a questo punto non badare a questo martirologio contemporaneo così grande anche come ad una sorta di mistero doloroso che pure deve avere un senso per la nostra fede e un qualche valore anche nella economia della salvezza se non deve lasciarci in bocca il sapore dell’assurdità oltre che della ingiustizia. Intanto bisogna cominciare a pensare che anche il sacrificio ormai globalizzato del cristiano pachistano, nigeriano, iracheno, siriano o indiano non chiede solo il dolore, ma l’amore e il debito del cristiano che resta e che sa del suo fratello lontano sgozzato o decapitato dalla televisione mentre cena o dal giornale mentre va al lavoro.

C’è da sempre una sorta di globalizzazione nella Chiesa prima ancora che ci fosse nel mondo. Da parte del cristiano c’è un obbligo di riconoscenza spirituale oltre che di solidarietà umanitaria verso chi ha perso la vita per la fede comune. Se il martire è il primo dei santi e se crediamo, come diciamo quando andiamo a Messa, nella comunione dei santi, dobbiamo amare i perseguitati non solo per quello che soffrono in un villaggio o in una città che non sappiamo nemmeno dove sia, ma per quello che danno anche a noi, gente tranquilla e satolla che al massimo portiamo la croce solo attaccata al collo. Come scriveva Pascal: «Gli esempi eroici delle morti degli spartani non ci commuovono. Ma l’esempio della morte dei martiri ci tocca perché sono nostre membra. Non si diventa ricchi vedendo un estraneo che è ricco , ma vedendo ricchi il proprio padre e il proprio marito».

Forse dobbiamo molto ai martiri anche per un altro motivo. La persecuzione più spietata e immotivata può perfino far perdere la fede come hanno sperimentato molti ebrei che di fronte all’Olocausto hanno pensato ad un cielo vuoto. Ma d’altro lato la persecuzione può anche, con l’esempio di una professione di fede detta a prezzo della vita, rafforzare la fede di chi resta, insegnare che il credere è qualcosa in più del pensare e che la speranza è qualcosa di più forte, costoso e impegnativo di una opinione. Come diceva Giustino, uno dei primi martiri cristiani che pure era un filosofo: «Nessuno ha creduto in Socrate fino al punto di accettare di morire per ciò che insegnava».Per quanto non si possa negare che ogni religione abbia, quale più e quale meno, i suoi martiri è comunque difficile togliersi dalla testa almeno il sospetto che la persecuzione sia un crisma che da sempre si addice ai cristiani che casomai lo condividono con gli ebrei loro «fratelli maggiori». Forse si può anche azzardare di credere che i cristiani siano soggetti più che ad una malattia ereditaria ad una profezia identitaria: «Come hanno perseguitato me cosi perseguiteranno voi».

Già durante l’impero romano colpisce il fatto che una civiltà in genere molto tollerante verso tutte le altre religioni che erano venute a stare di casa a Roma, comprese le strane religioni dei misteri orfici e dionisiaci, si sia accanita quasi esclusivamente contro i cristiani. E nel mondo contemporaneo colpisce che dopo sedici secoli di papi che erano stati solo vescovi prima di diventare re sia arrivato a Roma con Giovanni Paolo II un papa che aveva assaggiato da prete e poi da papa la persecuzione e che veniva da quella Polonia cattolica che durante l’ultima guerra con i suoi sei milioni di morti aveva avuto la somma di vittime in proporzione più alta di qualsiasi altro popolo dopo il popolo ebraico. Papa Wojtyla era convinto che perfino quei morti fossero martiri. Allo scrittore francese Andreè Frossard che gli domandava: «Dunque ci sarebbero sei milioni di santi in più?». Il Papa annuì: «Credo di sì».

Un giorno di quattordici anni fa Andrea Riccardi, mentre stava pubblicando il suo bel libro sui martiri del Novecento, parlò con Papa Giovanni Paolo II di quella quasi ininterrotta striscia di sangue cristiano che attraversava da cima a fondo «il secolo breve». Il papa sostenne in quella occasione che la persecuzione era connaturata alla fede cristiana e l’inesauribilità dei martiri nella storia del popolo di Dio parlava a favore   della autenticità della fede cristiana e era un segno della sua verità . E concluse che, come nel caso di Roma antica la Chiesa perseguitata era sopravvissuta alla fine alla Roma dei Cesari, anche nella modernità la «forza debole» dei martiri aveva alla fine prevalso sul nazismo e sul comunismo. Imprudente teologia della storia? Arroganza della verità contro il presunto relativismo del nostro tempo? San Giovanni Paolo II la pensava cosi con una grande scommessa di fede e di speranza che può valere per suggerirci quanto possa essere specifico e prezioso  anche il sangue che si versa in questi giorni.