Lettere in redazione

I nuovi giacobini dell’ideologia «gender»

I nuovi giacobini: il termine rimanda alla Rivoluzione francese ed alla pratica di accusare gli oppositori di tradimento, per poi affidarli alle cure del boia. Fortunatamente per noi, più di due secoli sono trascorsi e nessuno oserebbe più ricorrere a simili «espedienti» per liberarsi di chi è «refrattario» all’idea dominante. Anche perché nuovi e più sottili metodi di condanna offre certa «scienza mediatica» per sanzionare chi rifiuta certo «pensiero unico» dei nostri giorni. Basta, per esempio, marchiare, agli occhi della pubblica opinione, come «odiatori dell’uomo» ed «oscurantisti» quanti non condividono l’ideologia «gender» ed osano manifestarlo. Basta bollare come «omofobi» quelli che, pur nel rispetto dell’altrui opinione, continuano a credere nella famiglia, incentrata sulla figura materna e paterna e lo dicono.Contro costoro potrebbero persino scattare sanzioni giuridiche, se certi progetti di legge, sempre pronti nei cassetti di qualcuno, venissero approvati, magari alla chetichella ed in tutta fretta.

Illuminante, in tal senso, il «caso Barilla», che avrebbe potuto assumere temibili risvolti giudiziari, qualora certe disposizioni fossero state in vigore. Facendo seguito a squallidi e ben orchestrati «processi mediatici», precedentemente inscenati e tali da indurre l’interessato ad umilianti quanto ingiuste autocritiche.

Simone Hegartindirizzo email

Sarebbe interessante ricostruire la rapida diffusione in tutto il mondo occidentale – senza clamore, in modo subdolo – della teoria del «gender». Ricordiamo che, secondo questa visione ideologica, non esiste il «sesso biologico», quello che distingue le persone in maschi e femmine, ma il «sesso sociale»: ovvero, ognuno può scegliersi l’identità di genere che preferisce. Forse anche noi avevamo sottovalutato la pericolosità di questa ideologia e il primo editoriale di denuncia lo abbiamo pubblicato in prima pagina solo nel febbraio del 2012 («I “Genders”, la festa della donna e i giochi olimpici», per mano di padre Giancarlo, priore di Sant’Antimo). È vero però che a quei tempi in Italia se ne parlava ancora poco, anche se gli «esperti» dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) erano già al lavoro. Ricordiamo che le prime linee guida «antiomofobia» furono approvate all’epoca del governo Monti dal ministro del lavoro con delega alle pari opportunità, Elsa Fornero e che sono diventate «strategia nazionale» con un decreto del governo Letta che nel novembre 2013 finanziò con 10 milioni di euro un programma di inculturazione Lgbt (sigla che indica lesbiche, gay, bisessuali e trasgender) nelle scuole. È da quel decreto che nascono poi i tre volumetti, curati dall’Istituto Beck e destinati agli studenti dalle elementari alle superiori.

Nei giorni scorsi, in un’intervista che potete trovare sul nostro sito, il sottosegretario all’istruzione, Gabriele Toccafondi, ha preso giustamente le distanze dall’iniziativa, ritenendo che quegli opuscoli «oltre a presentare una lettura “partigiana” della realtà, discriminano a loro volta – come più associazioni hanno sottolineato – le persone “religiose” e “credenti”, considerate più propense all’omofobia proprio in ragione della loro religiosità».

Anche sulle procedure seguite Toccafondi è stato molto duro: «Il fatto che gli opuscoli sulla diversità siano stati redatti dall’Unar e diffusi nelle scuole senza l’approvazione del dipartimento Pari Opportunità da cui dipende, e senza che il ministero dell’Istruzione ne sapesse nulla, è molto grave. Chi dirige l’ufficio, dovrebbe spontaneamente trarne le conseguenze». Proprio su quest’ultimo incredibile aspetto della vicenda è intervenuto la scorsa settimana anche il Segretario generale della Conferenza episcopale italiana, a margine della conferenza stampa sui lavori del Consiglio permanente.

«Nelle scuole – ha osservato mons. Nunzio Galantino –, sembra passare una lettura ideologica della famiglia: mi riferisco, per esempio, alla teoria del “gender”. Quella è stata, secondo me, una caduta di stile grandiosa, da parte del governo, non so se quello presente o quello passato. A me pare, scusate, non so se si può dire, questo, mi sembra addirittura ridicolo che un Ministero dica: “Non sapevamo niente della distribuzione di volumi che sono nati dall’interno del Ministero”, perché non conosco bene le gerarchie: ma un dipartimento, un organismo del Ministero non mi sembra che possa essere alla mercé del primo ideologo che viene lì, e può investire soldi su questo».

Claudio Turrini