Lettere in redazione

I «pacs» indeboliscono la famiglia?

Caro Direttore,con profondo sconcerto ho letto il suo editoriale sul numero 45 del 17 dicembre 2006. A caldo, il mio commento dopo la lettura è stato «Mio Dio, ma dalla Chiesa se n’è andata anche la Pietà»? Alludo naturalmente all’eventuale legge sui Pacs, ancora da emanare dal nostro governo, prima fra tutti i ministri l’on. Rosy Bindi, che è tutt’altro che una «mangiabambini» di famiglie regolarmente sposate. È una donna cristiana, cattolica praticante, da sempre impegnata in politica, da sempre a servizio dell’uomo. Quindi se questo ministro, in gamba come pochi, ha sentito il dovere di difendere anche le coppie di fatto, non vedo dove sia lo strapparsi i capelli di molti cattolici (integralisti, mi viene da aggiungere).

Io sono cattolica, credo in Dio fermamente, frequento la mia parrocchia al limite delle mie possibilità. Sono regolarmente sposata in chiesa, 33 anni fa, ho due figli. Non vedo cosa ci sia di differente dalla mia vicina di casa che sposata non lo è, però, da quando vive con il suo unico amore – ed ormai sono più o meno gli anni del mio matrimonio – gli è fedele come io lo sono a mio marito. Se io ho diritto alla reversibilità della pensione di mio marito o se io eredito la casa insieme ai miei figli in caso di sua dipartita non vedo il motivo che non possa essere concesso anche a lei. Egualmente dicasi nell’assistere mio marito in ospedale o di dare anche il mio consenso nel caso di un intervento chirurgico a rischio.

Perché a me sembra che facciate tutti uno sbaglio enorme: nel concedere questi diritti anche ai non sposati voi credete che venga tolto qualcosa a noi, addirittura pensate che ci venga tolto quel qualcosa di sacro acquisito con lo sposarsi in chiesa, cioè il sacramento del matrimonio. Pensate addirittura che venga diminuito il valore della famiglia, pensate in parole povere che sia una vergogna equipararci a loro. Ma dove sta l’equiparazione? Dov’è la vergogna?

Caso mai mi aspettavo da lei o comunque dai cattolici in genere che si facesse una bella distinzione fra coppie di fatto vere e collaudate da anni di vita in comune e le coppie sciocche di oggi, non tutte per fortuna, che stanno insieme solo perché così fa loro comodo alla luce dello sbandierato egoistico ed edonistico ragionamento «se non va, ciao» senza ingrullimenti di sorta con le leggi o con la Chiesa.

Altro ragionamento per le coppie omosessuali. Se sono degli sciocchi nessun vantaggio, ma se sono gente seria che si rispetta a vicenda l’uno fedele all’altro o all’altra come una vera coppia di sposi, non vedo perché lo Stato non debba applicare anche ad esse gli stessi diritti miei. Naturalmente nessun bambino in adozione e nessuna possibilità di procreazione, nel senso più assoluto. In tal caso sì che mi sentirei ferita davvero visto che sono anche una mamma adottiva.

Come vede, caro Direttore così severo sull’eventuale legge sui Pacs, in molti punti convergo con il suo pensiero, ma per piacere cerchi la prossima volta di essere più chiaro (sui vari tipi di coppie di fatto di cui sopra) o meglio, tout court cerchi di essere meno integralista possibile e più cittadino aperto verso tutti. Ma perché la Chiesa è così priva di misericordia? Ma la Chiesa le sa queste cose? La Chiesa ama gli uomini tutti (e le donne) o ha da difendere solo il suo dominio sulle coscienze?Luigia PaoliMontelupo F.no (Fi) Al di là dei singoli casi, che non possono essere occasione per varare delle norme che hanno necessariamente sempre un carattere generale, io continuo a credere – nonostante il suo «sconcerto», cara signora Luigia – che se verrà approvata una legge, che equipari nella concretezza delle situazioni, fiscali, previdenziali, ereditarie, tutte le unioni di fatto alla famiglia naturale fondata sul matrimonio, si determinerà nel sentire comune un forte indebolimento della famiglia. L’esperienza lo insegna. Mi chiedo: l’introduzione del divorzio, che doveva prima di tutto venire incontro a situazioni dolorose, ha rafforzato o indebolito nella mentalità dei più l’istituto del matrimonio?Nella sua lettera c’è però un’osservazione che merita approfondimento. È vero, quando si parla di convivenze si intende una tipologia molto varia, e lei la indica bene. Ciò rende logicamente impossibile una loro disciplina unitaria e perciò in una eventuale regolazione queste distinzioni dovrebbero essere fondamentali. Ma qui sta il punto. Le forze politiche – e soprattutto una pervasiva cultura radicale – che più premono per la regolamentazione vogliono soprattutto affermare la tesi che ogni forma di convivenza, nessuna esclusa, è famiglia. È su questo assunto ideologico che non possiamo essere d’accordo non per un pregiudizio confessionale ma per una convinzione improntata a razionalità e saggezza. C’è poi nella sua lettera un’accusa alla Chiesa, oggi ricorrente: quella di mancare di misericordia, cioè di tradire l’amore di Cristo per l’uomo in situazione, dimenticando tra l’altro le tante opere che rendono concreto questo amore. Ma anche che la Chiesa, su mandato di Cristo, ha il compito di custodire e proclamare la verità sull’uomo, anche quando si trova ad essere – ed è accaduto un po’ in tutti i tempi – contro il pensiero dominante. E del resto –– lo ha ricordato di recente il Papa – i no della Chiesa nascono sempre dal sì a valori più alti.

L’editoriale di Alberto Migone