Toscana

Il bipolarismo che non va

di Andrea Fagioli

«La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non deve e non può mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare. La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia, lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene, la interessa profondamente».

Parte da questa citazione dalla Deus Caritas est di Benedetto XVI la riflessione che abbiamo sollecitato al vescovo di Prato, Gastone Simoni, circa le difficoltà dell’attuale momento politico e del disorientamente generale dei cittadini e dei cattolici in particolare.

Monsignor Simoni ha dedicato gran parte della sua opera pastorale alla formazione dei laici impegnati nel sociale e in politica. Negli ultimi anni è stato l’ispiratore del Collegamento sociale cristiano oltre che, per molto tempo, delegato della Conferenza epioscopale toscana per la pastorale sociale e il lavoro, mentre adesso ha la delega alla Cultura e alle comunicazioni sociali.

Simoni, oltre all’enciclica, tiene a citare un’altra affermazione di Benedetto XVI: quella fatta lo scorso ottobre di fronte ai quasi 3mila delegati del Convegno ecclesiale di Verona. Il Papa in quella circostanza aveva precisato che la Chiesa «non è e non intende essere un agente politico» per cui «il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è dunque della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e con coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo». Anche perché occorre fronteggiare «il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicono fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano». Da qui la conferma dei «no» a «forme deboli e deviate di amore e alla contraffazioni della libertà, come anche alla riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile».

«Il Magistero – spiega a questo proposito il vescovo di Prato – non può rinunciare a dire il proprio pensiero, mentre i laici hanno il diritto-dovere dell’esercizio della propria responsabilità nella coerenza». È necessario accogliere e tenere conto del grande Magistero sia di Giovanni Paolo II che di Benedetto XVI, anche per questioni diverse come possono essere la guerra o la famiglia, la pace o la giustizia: in pratica, dall’Iraq ai Dico. Quindi «distinzione» ma non «separazione», come già diceva la Centesimus annus di Giovanni Paolo II: «La Chiesa non ha modelli da proporre. I modelli reali e veramente efficaci possono solo nascere nel quadro delle diverse situazioni storiche, grazie allo sforzo di tutti i responsabili che affrontino i problemi concreti in tutti i loro aspetti sociali, economici, politici e culturali che si intrecciano tra loro. A tale impegno la Chiesa offre, come indispensabile orientamento ideale, la propria dottrina sociale».

«I vescovi – dice Simoni – non possono dunque sostituirsi a quelli agenti politici veri e propri che sono i legislatori. Ma ciò non toglie che la Chiesa, pur non avendo una sua parola precisa riguardo ai sistemi costituzionali ed elettorali, possa chiedere che essi siano espressione di una sostanziale partecipazione dei cittadini a delegare e controllare la classe dirigente rispetto a valori fondamentali».

«Come vescovo – dice ancora Simoni – non mi pronuncio, ma chiedo ai laici competenti se a loro, ad esempio, sembra che l’attuale legge elettorale esprima davvero il valore della partecipazione di tutti. Il bipolarismo attuale, come vige in Italia, è sostanzialmente dogmatizzato e più che favorire la partecipazione di tutti i cittadini tende a forzare le persone a stare unite quando unite non sono. È un dato di fatto ed è sotto gli occhi di tutti che questo bipolarismo favorisce lo scontro. Sembra di essere in un’eterna campagna elettorale. Ma la dura conflittualità in corso ha una causa più profonda che è la confusione delle lingue e la perdita del senso forte del bene comune e del senso della politica come alto servizio di mediazione e di composizione dei punti di vista e degli interessi per il bene comune. E quando si perde la bussola (per i cristiani l’insegnamento sociale della Chiesa), quando va in crisi il senso del vero bene della società, cioè la ricerca effettiva al di là degli schieramenti di parte della verità circa le questioni fondamentali della convivenza, non si possono che acuire le conflittualità. C’è anche una carenza di formazione, ci sono politici a volte improvvisati, ma non bisogna rieducare solo la classe dirigente, c’è bisogno di ricominciare a formare la base popolare al senso del bene comune. Se si esce dalla terra ferma dei principi non si ha nemmeno modo di favorire l’incarnazione massima possibile dei valori nella concreta situazione dei fatti e dei problemi. Se la politica è mediazione bisognerà che tra la sponda dei principi e la sponda dei problemi concreti ci sia un ponte solido».

L’itinerario indicato da Benedetto XVI a Verona passa attraverso la piena valorizzazione del laicato a cui è affidato il compito di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società. In politica, quindi, i laici non sono esecutori passivi delle direttive della gerarchia, ma «collaboratori responsabili» dell’unica missione evangelizzatrice. «A loro compete – a giudizio di Simoni – la sintesi più alta possibile».

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