Vita Chiesa

«Il catechismo deve essere un’esperienza di vita»

di Chiara Domenici

«Buon incontro con Gesù». È questo l’augurio che monsignor Simone Giusti, vescovo di Livorno e delegato della Conferenza Episcopale Toscana per la Catechesi, rivolge ai bambini e ai ragazzi della Toscana che in questi giorni tornano nelle aule di catechismo.

In questi giorni infatti riparte, nelle parrocchie, il catechismo. A volte con entusiasmo, a volte con qualche fatica. Come aiutare i catechisti che si apprestano a ricominciare il loro servizio?

«Innanzitutto bisognerebbe che facessero “il punto”, da soli o in gruppo o con il parroco, del loro servizio: non esistono catechisti specializzati per la prima comunione o la cresima. Esistono catechisti che accompagnano per più anni i ragazzi del proprio gruppo in un cammino di fede. Pertanto attenzione a certe tentazioni di specializzazione, non siamo in fabbrica e i ragazzi non sono pezzi da fare ma persone da amare con alle quali testimoniare prima di tutto la propria fede. Poi bisognerebbe che verificassero se la guida che hanno a disposizione è sempre utile: avere un testo a cui potersi riferire, da cui trarre suggerimenti e su cui fare affidamento è molto importante. Il catechismo lo sappiamo bene non è un testo didattico, in altre parole è sbagliato prendere il catechismo, aprire una certa pagina con i ragazzi e poi leggerla e commentarla. Non è questo il modo di usare correttamente i catechismi dell’Iniziazione Cristiana. Il catechismo è un libro di fede, è il Vangelo annunziato ai fanciulli e ai ragazzi ed ha bisogno di essere utilizzato all’interno di un itinerario educativo, all’interno di un itinerario catechistico, proprio quell’itinerario che ogni guida catechistica si sforza di proporre. È molto rischioso pensare di poter fare a meno di una guida perché c’è il rischio di cadere nella dottrina e di rinunciare a fare catechesi. Ogni guida è diversa, nessuna a priori è migliore di altre. E inoltre non ci può essere una guida unica per tutta la parrocchia: il catechismo CEI uguale per tutti, ad ogni catechista la guida che ritiene più opportuna per il suo gruppo».

Cosa direbbe ai genitori che torneranno a portare i figli a catechismo? C’è sempre il rischio che vivano il catechismo dei figli con distacco, o addirittura con fastidio: come fare per stimolare una partecipazione attiva, per farli sentire coinvolti?

«L’Iniziazione Cristiana dei ragazzi necessita da sempre dell’educazione alla fede svolta dalla famiglia, essa non può essere supplita se non eccezionalmente e pertanto non si può accettare come normalità di questi tempi che la stragrande maggioranza delle famiglie che si dicono e vogliono essere cristiane, non dia un’educazione cristiana ai figli e si limiti a concedere che vengano al catechismo parrocchiale e raramente alla Messa domenicale. Ma perché le famiglie si sentano coinvolte c’è bisogno che la parrocchia dedichi tempo a motivare i genitori, sensibilizzandoli e aiutandoli a riscoprire la propria identità di adulti nella fede; offra occasioni di conoscenza e di incontro perché cresca, anche tra le famiglie, lo spirito comunitario e solidale; proponga esperienze di vita cristiana per maturare uno stile di collaborazione con la comunità cristiana e le altre istituzioni educative, insomma… li faccia sentire importanti per la vita della comunità».

E ai bambini, ai ragazzi che in  questi giorni tornano nelle aule di catechismo, cosa si sente di dire perché vivano questo appuntamento in modo fruttuoso?

«Dico loro “buon incontro con Gesù”, perché questo deve essere il catechismo. E mi permetto di correggere un termine: direi che quelle non sono “aule” per il catechismo ma piuttosto degli “spazi di incontro” dove spero che sperimenteranno la gioia di imparare e di vivere la fede».

In molte parrocchie si cerca di sperimentare strade nuove per rendere i corsi di catechismo più efficaci, più incisivi. Secondo lei quali sono gli accorgimenti essenziali da seguire?

«Ben vengano esperimenti e ricorso ai nuovi mezzi multimediali, l’importante è che il catechismo non si riduca alla dottrina, ma diventi esperienza di fede. I ragazzi devono incontrare e sperimentare l’amore di Gesù, per questo suggerisco sempre di farli entrare in contatto con realtà concrete, come la Caritas, i gruppi di aiuto agli anziani, ai disabili, ai malati, ecc: devono vedere l’amore di Gesù nelle persone che offrono il loro tempo e la loro disponibilità».

Il rischio poi è che quello che i bambini e i ragazzi ricevono al catechismo si scontri con altri «insegnamenti» che ricevono negli altri ambienti di vita, dalla tv, dalla cultura che respirano. Come fare per renderli più saldi nella loro scelta di fede, in modo che possano reggere l’urto?

«Lo slogan dovrebbe essere: non lo scontro ma la sintesi. Nel senso che non sempre questi messaggi sono in contrasto o vogliono esserlo, ma occorre aiutare i ragazzi ad avere senso critico, a discernere ciò che è buono da ciò che non lo è. Per questo dobbiamo fare appello a tutti i gruppi parrocchiali perché aiutino i più giovani a fare sintesi di tutte le informazioni che ricevono. A questo proposito è indispensabile un’“Alleanza educativa” fra parrocchia, famiglia, scuola».