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Lettere in redazione

Il matrimonio negato al paraplegico

2 Luglio 2008 - 00:00
di Archivio Notizie
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Avevamo visto giusto. Il caso del matrimonio religioso negato dal vescovo di Viterbo, mons. Chiarinelli, ad un ragazzo diventato paraplegico, dopo un grave incidente stradale, ha sollecitato l’interesse dei nostri lettori. Prevedendolo, avevamo chiesto al canonista padre Francesco Romano di spiegarci bene i termini della questione (rubrica «Risponde il teologo» sul numero del 22 giugno scorso). In pochi giorni sul nostro sito internet sono apparsi diversi commenti, ai quali attingiamo per questa pagina un po’ speciale delle «lettere». Sul caso specifico possiamo ragionare solo attingendo a quanto pubblicato dai giornali e al comunicato della diocesi di Viterbo, nel quale si ribadisce che «i termini della questione non sono quelli raccontati» e che «a chi di dovere sono state offerte tutte le motivazioni di una realtà che non dipende nè da discrezionalità nè dall’intenzionalità dei soggetti». Ma per rispetto alle persone e alla loro privacy la Diocesi di Viterbo non fornisce ulteriori elementi. Sgombriamo però il campo da alcuni equivoci. Evidentemente qualcuno (o gli sposi stessi, o il parroco, o i genitori) ha sollevato il problema al Vescovo, che altrimenti non sarebbe mai intervenuto. E non vuol dire certo che allora i fidanzati dovrebbero «provare» l’atto coniugale prima del matrimonio. Si presume che normalmente questo tipo di impedimenti non ci siano. E nel caso si manifestassero al momento delle nozze, la Chiesa riconosce la «nullità» (cioè l’inestistenza) del sacramento. Nel caso di Viterbo, sembra che l’incidente abbia causato nel ragazzo – in modo definitivo – una «impotenza copulativa», cioè di compiere l’atto sessuale (qui non si parla di fertilità). Dico «sembra», perché solo questo potrebbe aver motivato il diniego del Vescovo. C’è stato anche chi, come Gerardo Ronzoni, professore di urologia alla Cattolica di Roma e primo presidente dell’Associazione italiana paraplegici, pur non conoscendo il caso specifico, e rispettando da cattolico la decisione del vescovo, ha messo in dubbio i presupposti scientifici del caso e ricordato come il Codice di Diritto Canonico (1084-2) consenta comunque le nozze nei casi in cui «l’impedimento di impotenza è dubbio». Per la Chiesa, come ha ben spiegato padre Romano (leggi la risposta), la possibilità di compiere l’atto sessuale è una condizione indispensabile per la validità del sacramento del matrimonio. Per lo Stato, non è così. Per questo i due giovani si sono potuti sposare davanti al Sindaco e con… la benedizione del loro parroco, presente alla cerimonia. E nessuno mette in dubbio la possibilità per loro di vivere assieme, con una convivenza che, non può essere, appunto, «more uxorio».

Claudio Turrini

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