Opinioni & Commenti

Il ruolo delle Organizzazioni non governative nella risoluzione dei conflitti

di Romanello Cantini

Negli Stati Uniti Andrè Carrol veterano della guerra del Vietnam, per venti anni si è dato a raccogliere le lettere dei soldati che in guerra erano stati nemici fra loro. Ne è uscito un libro («War Letters») che ha avuto un enorme successo. La conclusione di Carrol è che gli uomini si uccidono perché non si conoscono, perché pensano di avere davanti a sé degli uomini che non sono uomini, più insensibili o più cattivi. E cita alla fine il poeta Longfellow: «Se noi potessimo leggere la storia segreta dei nostri nemici, noi troveremmo nella vita di ciascun uomo un dolore e una sofferenza sufficienti a disarmare ogni ostilità».

Questa intuizione, che va in fondo alle radici dell’odio e conferma che i maggiori conflitti hanno sempre avuto una radice nella separazione, nella mancanza di contatti fra le popolazioni che così si sono potute dipingere con i colori peggiori, ha dato l’avvio da una ventina d’anni anche ad alcuni nuovi percorsi nel ricercare la pace nei paesi a rischio.

A cominciare dalla esperienza della ex-Jugoslavia ci si è accorti che per trovare la pace è indispensabile ricucire partendo dalla società civile quasi casa per casa un minimo di convivenza fra popolazioni che sono diventate ostili. Se manca questa volontà di accettare l’altro spesso a ben poco servono la diplomazia internazionale, il lavoro dell’Onu, la presenza di forze di pace, gli stessi interventi militari se non si bonifica il terreno dal basso riavvicinando singoli uomini ad altri singoli uomini. Questa conclusione, se vogliamo, è in fondo anche la riscoperta di un’idea tradizionale della cristianità per cui non si possono disarmare le braccia se prima non si disarmano gli animi. Non a caso le «paci» del Medioevo, le «tregue di Dio» non erano solo un giuramento fra i capi, ma una promessa collettiva a cui partecipava tutta la popolazione con la festa in cui tutti erano obbligati a partecipare e a fraternizzare.

Questa essenziale fase di passaggio dall’ostilità e dal conflitto ai primi tentativi di collaborazione per settori, per gruppi o per località è stata scoperta soprattutto dalle organizzazioni non governative. Le Ong presenti ormai in quasi ogni conflitto, costituiscono una sorta di rappresentanza della opinione pubblica mondiale che rende il conflitto meno isolato dal mondo e il mondo meno indifferente al conflitto. Inizialmente le Ong si sono dedicate alla rilevazione e alla denuncia dei diritti umani, rendendo le loro violazioni meno facili e impunite, e ai compiti umanitari come l’aiuto alle popolazioni e l’assistenza ai profughi. Ma successivamente hanno iniziato a mettere in atto iniziative in cui si potesse verificare un incontro fra «nemici», si ponessero delle alternative reali alla economia di guerra che nelle zone di conflitto tende ad essere l’unica attività e l’unica occasione di lavoro e si mostrasse concretamente con progetti di sviluppo condiviso quello che può essere il grande vantaggio della pace.

Una iniziativa estremamente significativa in questa direzione è ora quella promossa dalla Regione Toscana che è riuscita a mettere insieme 150 Ong (50 israeliane, 50 palestinesi. 50 europee) intorno ad una «Alleanza per la pace» che da due anni opera in Palestina e che ha dato vita ad iniziative molto importanti come quella del «Saving children» che ha permesso di curare cinquemila bambini palestinesi malati o feriti in ospedali israeliani o come quella della «Med Cooperation» che punta allo sviluppo della Palestina con le sue risorse locali. Nel Forum delle Ong per la pace che si è tenuto nei giorni scorsi al My One Hotel di Pisa per fare il punto sulla iniziativa israeliani e palestinesi hanno potuto insieme presentare un bilancio della collaborazione fra la Ong che sono emanazione dei due popoli e inaugurare nuove prospettive tanto che il presidente della Regione Martini ha potuto affermare che «la pace per israeliani e palestinesi è possibile» o almeno si può dire che c’è una Palestina che già esiste e che ancor più si può coltivare e che non è quella dei missili e delle bombe anche se quest’ultima è la sola che alla gente si è voluto far conoscere.