Vita Chiesa

Il Santo Sepolcro simbolo di secoli di lotte e divisioni

small>DALL’INVIATO RICCARDO BIGI

Curvandosi per entrare nella tomba vuota viene in mente il racconto dell’apostolo Giovanni che, varcando questa stessa soglia, «vide e credette». Il Santo Sepolcro è il simbolo della resurrezione di Gesù, è il fulcro di tutta la fede cristiana: ma è anche il simbolo delle divisioni che hanno attraversato la cristianità lungo i secoli. La superficie su cui si estende la basilica, nel cuore della città vecchia di Gerusalemme, comprende, vicino all’ingresso, anche il luogo su cui un tempo si innalzava la collina del Golgota: il visitatore quindi si trova a compiere lo stesso tragitto lungo cui fu traslato il corpo di Cristo dopo la deposizione dalla croce. La morte e la resurrezione, il Venerdì Santo e la Pasqua: tutto è racchiuso tra queste mura che hanno attratto per due millenni la devozione e la preghiera di milioni di fedeli.

Non è un caso quindi che il Papa abbia voluto concludere qui, come ultimo atto, la sua visita in Terra Santa: il Santo Sepolcro, in cui si entra col cuore gonfio di emozione e si esce cantando di gioia; il luogo della resurrezione, culmine di ogni pellegrinaggio e inizio di ogni cammino cristiano. Ma questo luogo così sacro e misterioso è anche, da secoli, luogo di dissidie tra le diverse confessioni cristiane. E permettere al Papa di pregare in questa tomba vuota e di rivolgere, da qui, il suo messaggio di unità non è stato facile.

Padre Athanasius Macora è il frate che, per conto dei francescani, verifica l’attuazione dello «statu quo», il complesso sistema di norme che regola spazi e tempi per la preghiera e per la liturgia. Viene dal Texas ma la sua vita, ormai, è legata a Gerusalemme. «Organizzare la visita del Papa – ci racconta – è stata una fatica terribile: qui ogni cosa, dall’uso dei microfoni all’accesso alle varie zone della basilica, va concordata e richiede un’esplicita autorizzazione da parte di tutti. Senza contare poi il dispiegamento di militari, voluto dal governo israeliano per motivi di sicurezza, che ci ha complicato ulteriormente le cose». La basilica del Santo Sepolcro è amministrata dai cattolici (tramite i francescani della Custodia di Terra Santa), dai Greco-ortodossi e dagli Armeno-apostolici. Ma anche la Chiesa ortodossa copta, la Chiesa ortodossa etiope e la Chiesa ortodossa siriaca hanno responsabilità inferiori, che comprendono sacrari e altre strutture all’interno e attorno all’edificio. Lo «statu quo», ossia il decreto che attribuisce le diverse competenze, fu emanato nel 1852 dalle autorità dell’impero Ottomano che governavano la città, per porre fine alle controversie tra cristiani. Per lo stesso motivo, la chiave è affidata fin dal 1192 a due famiglie musulmane che provvedono ogni mattina e ogni sera all’apertura e alla chiusura della porta.

La varietà di denominazioni cristiane qui presenti traspare dai volti e dagli abiti dei pellegrini, dai loro diversi modi di pregare. Una varietà che appariva particolarmente evidente negli abiti e nei paramenti di patriarchi, vescovi, sacerdoti, frati e monaci che hanno accolto, la scorsa settimana, l’arrivo del Papa: gli alti cappelli neri e i cappucci appuntiti degli ortodossi, le fasce viola e rosse di vescovi e cardinali cattolici, i sai marroni dei francescani… «Tutti hanno voluto essere presenti – sottolinea padre Athanasius – in segno di accoglienza e di stima per il Santo Padre. E tutti hanno seguito e ascoltato con favore le sue parole, che sono state parole di unità».