Toscana

Il suicidio assistito è un atto estraneo all’agire del medico

Riflessione sulla legge approvata dal Consiglio regionale della Toscana di Giuliana Ruggeri, presidente dell'Osservatorio di bioetica di Siena e membro del Cominato nazionale per la bioetica

Il «prendersi cura» è il linguaggio dell’umanità e nella pratica medica costituisce l’alleanza medico-paziente. Solo dentro una relazione, umana e professionale può essere affrontata una condizione di sofferenza, per la profondità del mistero del dolore e della morte che accompagna ogni uomo. «È l’unica cosa che possiamo fare: essere qui dove siamo ora, con loro». È la storia di come è nato un approccio integrale al problema del dolore, «il dolore totale», affrontato in tutte le sue dimensioni (fisiche, psichiche, sociali, spirituali) che la letteratura scientifica ha dimostrato essere più efficace ed efficiente sotto ogni profilo, iniziato da Cecyl Sanders, fondatrice delle moderne cure palliative e hospice.

Bastano nella nostra regione solo 47 giorni dalla richiesta per poter accedere al suicidio medicalmente assistito. Il «suicidio», diventa «medicalmente assistito», una «prestazione dentro l’orario di lavoro», inquadrato «nella tutela della salute», «una prestazione del personale sanitario su base volontaria, considerata come attività istituzionale da svolgersi in orario di lavoro». Nonostante l’importante pulizia lessicale e il mutamento terminologico, il suicidio assistito è un atto, estraneo all’agire medico, contraddice alla radice il nostro ruolo professionale e pregiudica la fiducia da parte della persona che versa in fragilità, minando la solidarietà con coloro la cui salute è ridotta e che rende possibile la pratica della medicina.

Ai medici è chiesto anche di far parte all’interno dell’unità sanitarie locali, di una commissione ad hoc, multidisciplinare permanente, non solo per la verifica dei requisiti ma anche per stabilire come «offrire il suicidio al paziente», indicazione farmacologica e altro. In realtà per la sentenza della corte 242/2019, è il Comitato etico territoriale, ad avere il compito di verificare i requisiti di accesso, escludendo ogni ulteriore prestazione, secondo anche le indicazioni del Cnb del 24/02/2023. Tutto questo non potrà che portare disuguaglianze, non solo la Toscana rischia di diventare la Svizzera italiana, ma anche tra le diverse unità sanitarie locali, all’interno della stessa regione.

Nessuna legge italiana, né tanto meno la sentenza della Corte costituzionale 242/2019 sancisce il «diritto a morire», la sentenza stabilisce le condizioni di non punibilità, è quindi inaccettabile che tale diritto venga istituito attraverso norme procedurali e organizzative, senza un’assunzione di responsabilità politica e istituzionale. Sarebbe forse stato fondamentale prima dell’approvazione favorire un ampio dibattito, un confronto serio con la società civile, con noi professionisti che veniamo caricati di decisioni così gravi di conseguenze. Riteniamo inoltre che, permettere la pratica del suicidio medicalmente assistito come una prestazione garantita dal Ssn, è non solo contro lo spirito della professione medica ma anche contro gli obiettivi e lo scopo del Ssn, che è quello di garantire il diritto alla salute per tutti i cittadini.

Le cure palliative – e fra queste la possibilità della sedazione profonda – sono previste dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, è necessario, scrive infatti la Corte, offrire sempre alla persona, concrete possibilità di accedere alle cure palliative, «un prerequisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente». In questa proposta di legge regionale non sono previste indicazioni: chi fornisce informazioni al paziente sulle possibilità di cure palliative, chi verifica che questa possibilità sia stata veramente offerta, con quali modalità, con quali tempi? Le «palliative care» come insieme di trattamenti finalizzati al controllo e all’eliminazione del dolore, sono una risposta radicalmente umana all’umanità caratterizzante l’arte medica nella sua dimensione più autentica. Il contesto della palliazione se da un lato apre alla triplice definizione della malattia, (intesa come illness, cioè l’esperienza diretta del paziente, il vissuto della malattia; come disease, cioè la lettura clinica della condizione patologica; sickness, il riconoscimento del malato come tale dall’ambiente circostante), dall’altro guarda anche al triplice compito in capo al medico: guarire (qualche volta, non sempre è possibile); alleviare (spesso); prendersi cura (sempre possibile).

Molti sono i punti di debolezza rispetto le cure palliative nella nostra regione: non tutte le aeree del nostro territorio hanno lo stesso sviluppo, esiste un sovraccarico di lavoro per le equipe riducendo la possibilità di personalizzare l’assistenza, alcune strutture sono obsolete e non adeguatamente equipaggiate per gestire le situazioni complesse, inoltre in alcuni casi, l’assistenza si concentra sugli aspetti medici, trascurando il supporto psicologico e spirituale, cruciale nelle cure palliative.
Sono necessari più posti letto negli hospice distribuiti sul territorio, soprattutto pediatrici (attualmente disponiamo di 1 unico posto letto), ma soprattutto è necessario consolidare le cure a domicilio e la garanzia di avere cure in ospedale. Vanno implementate le cure palliative precoci, va favorito l’accesso a un numero maggiore di persone con patologie croniche complesse, è necessaria un’assistenza continua 24/24h tutti i giorni della settimana. Occorre come sottolinea l’Osservatorio Agenas per la nostra regione, dettagliare l’impiego delle risorse per le azioni previste e necessarie.

Sono necessari corsi di formazione per medici, infatti ancora ci sentiamo rispondere dai nostri colleghi alla richiesta di attivare le cure palliative: «ma davvero lei pensa che rimanga solo una settimana di vita?» o ancora, «ma non è un paziente oncologico».

È necessario un lavoro nella nostra realtà sociale, è necessario far conoscere a tutti, medici, malati e familiari che la palliazione non è l’anticamera della morte. Non bisogna lasciare sole le famiglie e i malati, occorre offrire informazioni e servizi adeguati alle loro drammatiche necessità, occorre prendersi «cura», occorre fare compagnia. Le cure palliative devono diventare una mentalità, non si possono aggiungere giorni alla vita, ma vita ai giorni. Le cure palliative rappresentano in realtà, per la caratteristica del prendersi in carico globale del malato e della sua famiglia come un’unica entità di cura, una sfida per tutta la medicina.

Con le leggi 38/2010 e 219/2017, la sentenza della Corte costituzionale 242/2019 e il Comitato nazionale per la bioetica (Cure palliative 2023; Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito, 2019) le cure palliative sono «una priorità assoluta delle politiche sanitarie».

Le cure palliative e la terapia del dolore sono quindi un diritto e qualsiasi percorso di fine vita il malato intraprenda, la scelta non può mai essere obbligata da uno stato di sofferenza.

È su questo che vorremmo vedere impegnati i nostri politici, è su questo che dobbiamo vigilare come medici, prima di «offrire» il suicidio medicalmente assistito ai nostri pazienti, cioè, porre l’attenzione, sulla ragionevolezza di una priorità diversa in tema di fine vita: la priorità della cura, la priorità del farsi carico dei malati e dei fragili e delle loro famiglie.

La «scelta del suicidio» è una scelta che attuata è (per sua natura) irrevocabile e rende evidente la rottura del nesso esistente tra vita e libertà, con la scelta contro la vita, anche la libertà si snatura, eliminando sé stessa, contraddicendo la sua stessa inviolabilità, ma è inaccettabile che venga garantita dal Sistema sanitario e coinvolga il personale sanitario.

«[…] La vita umana, anche nella condizione dolente, è portatrice di una dignità che va sempre rispettata, che non può essere perduta e il cui rispetto rimane incondizionato. [….] Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio. Ricordo che va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati. La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti». (Francesco, Udienza generale (9 febbraio 2022): L’Osservatore Romano. Dignitas Infinita n. 52).

*presidente Osservatorio di bioetica di Siena, membro Comitato nazionale per la bioetica