Toscana
IMMIGRAZIONE, PRESENTATO A LUCCA IL DOSSIER CARITAS; MONS. CASTELLANI: «UN SECOLO FA ERAVAMO NOI GLI EXTRACOMUNITARI»
«Abbiamo tanti motivi, umani e civili, per accogliere lo straniero, motivi a cui forse pensiamo poco e che sono certamente molto esigenti e radicali». Lo ha detto stamani l’arcivescovo di Lucca, mons. Italo Castellani, concludendo a Lucca, nella sala della ex-Corte d’Assise, l’incontro toscano di presentazione del Rapporto 2006 sull’Immigrazione. Un Dossier, giunto ormai alla sedicesima edizione e curato dalla Caritas Italiana e dalla Migrantes. La presentazione del Dossier, fatta in contemporanea in altre dieci città italiane, è stata affidata ad Antonio Ricci di Caritas Italia, per i dati nazionali, e a Francesco Paletti per quelli toscani, intervenuti dopo i saluti delle autorità presenti, il Presidente della Provincia, il Questore di Lucca e l’arcivescovo di Lucca. Vivace e ricca è stata è poi la tavola rotonda che è seguita alla presentazione dell’inchiesta. Le conclusioni sono state fatte dall’arcivescovo il quale ha affrontato il tema dell’emigrazione partendo proprio dall’esperienza storica di Lucca e del suo comprensorio che «portano con sé una vicenda ed una esperienza di emigrazione importante e assai diffusa».
Ricordando le moltissime sedi dei «lucchesi nel mondo» nei più svariati paesi e continenti il vescovo ha detto che «rappresentano il segno» «della vitalità di tanti lucchesi che vivono pienamente integrati e inseriti in quei contesti sociali e nazionali: anzi ormai sono cittadini a tutti gli effetti e con responsabilità e ruoli di primo piano. Ma un secolo e mezzo fa’, quando per la miseria e la fame, i loro bisnonni e i nonni dovettero lasciare le loro terre e le famiglie, le cose non erano proprio così».
Ricordando così come la lucchesia sia stata terra di emigrazione ha sottolineato come, anche se a quei tempi la parola «extracomunitario» non esisteva, esisteva tale e quale la medesima condizione, cioè di un mondo con un certo benessere e la disperata ricerca di fare parte, in qualche modo, di quel mondo da parte di tanta gente, come accade oggi. «Si diceva che andavano in “cerca di fortuna”, ha proseguito l’arcivescovo ma sul principio incontravano condizioni di lavoro pesantissime, umiliazioni (quasi nessuno conosceva la lingua del paese ospite), e povertà. Dovettero conquistarsi con il tempo e con un fortissimo impegno la stima e la dignità di cittadini; la diffidenza e la sfiducia si tramutarono in comprensione e condivisione solo dopo che un processo culturale fece capire che una persona, malgrado i problemi e le preoccupazioni che può presentare, è una ricchezza per lo sviluppo e per la crescita, proprio per quel benessere che chi lo possiede teme di perderlo e chi lo intravede, ritiene suo diritto poterne attingere almeno in parte».