Italia

Italiani nel mondo: Migrantes, dal 2006 al 2017 aumentati del 60,1%

Sono alcuni dei dati presentati oggi dalla Fondazione Migrantes e contenuti nella XII edizione del «Rapporto Italiani nel mondo» che raccoglie le analisi statistiche delle fonti ufficiali più accreditate, nazionali ed internazionali, sulla mobilità dall’Italia. A livello continentale, oltre la metà dei cittadini italiani emigrati (2.684.325) risiede in Europa (54,0%), più specificatamente nell’Ue15 (1.984.461, il 39,9%) mentre 2.010.984 vivono in America (40,4%) soprattutto in quella centro-meridionale (32,5%). A seguire l’Oceania (147.930 residenti, il 3,0%), l’Africa (65.696, l’1,3%) e l’Asia (65.003, l’1,3%). Soffermandosi sulle realtà nazionali, i primi tre Paesi con le comunità più numerose sono l’Argentina (804.260), la Germania (723.846) e la Svizzera (606.578), mentre è il Regno Unito a distinguersi, in valore assoluto, per avere la variazione più consistente (+27.602 iscrizioni nell’ultimo anno).

Il «Rapporto» evidenzia, elaborando i dati, che lo scorso anno le iscrizioni all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero sono state 124.076 con un aumento di oltre 16mila unità rispetto all’anno precedente (+15,4%), di cui il 55,5% (68.909) maschi. Il 62,4% è celibe/nubile e il 31,4% coniugato/a. Oltre il 39% di chi ha lasciato l’Italia nell’ultimo anno ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni (oltre 9mila in più rispetto all’anno precedente, +23,3%); un quarto tra i 35 e i 49 anni (quasi +3.500 in un anno, +12,5%). Le partenze – spiega Migrantes – non sono individuali ma di «famiglia» intendendo sia il nucleo familiare più ristretto, ovvero quello che comprende i minori (oltre il 20%, di cui il 12,9% ha meno di 10 anni) sia la famiglia «allargata», quella cioè in cui i genitori – ormai oltre la soglia dei 65 anni – diventano «accompagnatori e sostenitori» del progetto migratorio dei figli (il 5,2% del totale). A questi si aggiunga il 9,7% di chi ha tra i 50 e i 64 anni, i tanti «disoccupati senza speranza», «tristemente noti alle cronache del nostro Paese poiché rimasti senza lavoro in Italia e con enormi difficoltà nel riuscire a trovare alternative occupazionali concrete per continuare a mantenere la propria famiglia e il proprio regime di vita». Le donne sono meno numerose in tutte le classi di età ad esclusione di quella degli over 85 anni (358 donne rispetto a 222 uomini): si tratta soprattutto di vedove che rispondono alla speranza di vita più lunga delle donne in generale rispetto agli uomini.

Il Paese dove nell’ultimo anno sono arrivati più italiani è stato il Regno Unito con 24.771 iscritti, seguito da Germania (19.178), Svizzera (11.759), Francia (11.108), Brasile (6.829) e Stati Uniti (5.939). La Lombardia, con quasi 23mila partenze, si conferma la prima regione da cui gli italiani hanno lasciato l’Italia alla volta dell’estero, seguita dal Veneto (11.611), dalla Sicilia (11.501), dal Lazio (11.114) e dal Piemonte (9.022). Il Friuli Venezia Giulia è l’unica regione con meno partenze. Per l’organismo pastorale della Cei, la mobilità è «una risorsa» perché «permette il confronto con realtà diverse ed è, se ben indirizzata, una opportunità di crescita e arricchimento. Oggi, però, nello stato generale di recessione economica e culturale in cui ci si ritrova, la migrazione, per gli italiani in particolare, è diventata nuovamente, come in passato, una valvola di sfogo, ciò che – spiegano i ricercatoti – potrebbe permettere di trovare una sorte diversa rispetto a quella a cui si è destinati nel territorio di origine». Così intesa, la mobilità diventa «unidirezionale», dall’Italia verso l’estero, con partenze sempre più numerose e con ritorni sempre più improbabili. «La questione – si legge – non è tanto quella di agire sul numero delle partenze – anche perché nel mondo globale la libertà di movimento, il sentirsi parte di spazi più ampi e di identità arricchite è quanto si sta costruendo da decenni – ma piuttosto di trasformare l’unidirezionalità in circolarità in modo tale da non interrompere un percorso di apprendimento e formazione continuo e crescente, da migliorare le conoscenze e le competenze mettendosi alla prova con esperienze in contesti culturali e professionali diversi tenendosi aggiornati e al passo con il mondo che cambia».

Il migrante è il miglior ambasciatore del territorio di partenza. Secondo la Fondazione Migrantes «in tutti i migranti ‘dimorano’ i territori da cui sono partiti così come ogni territorio è segnato da chi è partito come in un gioco di spaesamenti e ritrovamenti di sé». Quel che conta è riconoscere gli «spaesamenti» e superarli, ritrovarsi arricchiti di nuovi elementi e fare di questa ricchezza il motore di un nuovo modo di stare nel mondo. Il territorio d’origine scrive – secondo la Fondazione che ha dedicato in questo Rapporto uno speciale alle regioni di partenza degli emigranti italiani – una storia «indelebile su ogni suo abitante e quando questi diventa migrante egli lo porterà sempre con sé, in qualsiasi parte del mondo si trovi, anche in maniera inconsapevole: il luogo di partenza del migrante ‘abita’ in lui». Il migrante è il «miglior ambasciatore del territorio da cui è partito. La presenza italiana è presenza regionale e la regionalizzazione, se dovutamente considerata, diventa incentivo non solo di conoscenza e valorizzazione dell’Italia, ma anche motore di sviluppo e crescita economica e culturale». Da qui l’importanza di politiche attuate – contestualmente sul piano regionale e nazionale – che «non siano solo di sostegno, ma di sviluppo, di attenzione cioè alla promozione delle varie opportunità di investimento presenti in ciascun territorio ed è necessario che tali opportunità siano prima riconosciute per poi essere valorizzate. L’attenzione deve riguardare anche le risorse umane presenti e le ricchezze professionali che sono diverse in ogni contesto, proprio perché differenti sono le caratteristiche e le competenze di ogni realtà regionale».