Prato

La difficile scelta delle donne: avere un figlio o un lavoro

Intendi avere un figlio? Quando il tuo bambino è malato hai qualcuno che possa occuparsi di lui? Sono le domande più comuni che un datore di lavoro fa alle donne quando si presentano a un colloquio in vista di una assunzione, di qualsiasi tipo. «Per timore di non ottenere il posto sono in molte a mentire anche se hanno intenzione di avere un bambino o non hanno nessuno a cui lasciare in custodia il figlio o i figli in caso di bisogno», spiega Giovanna Becherucci, presidente del Centro di Aiuto alla Vita di Prato. Nel 2022 sono state 265 le donne ascoltate dal Centro e molte di esse hanno indicato nella mancanza di un lavoro la più grande difficoltà incontrata nel decidere se portare avanti una gravidanza oppure nel sostentamento dei figli. «Noi cerchiamo di dare una mano alle donne nella ricerca di un impiego – aggiunge Becherucci –, ma è difficile trovare un lavoro che abbia orari compatibili con la gestione dei propri bambini. La soluzione migliore sarebbe un part time, ma a Prato non c’è molta offerta». Il Centro di Aiuto alla Vita fornisce un servizio prezioso anche in occasione della malattia dei figli delle donne lavoratrici: «Ci organizziamo per stare con i bambini quando le mamme non possono assentarsi dal lavoro. Le straniere ad esempio non hanno parenti a cui rivolgersi e non saprebbero come fare», racconta la Presidente. 

La scelta tra avere un figlio oppure un lavoro non riguarda solo le utenti dei servizi messi in campo dal Cav, ma riguarda molte donne, per non dire la maggior parte. Secondo l’ultimo rapporto diffuso da Save the Children, emerge una Italia a rischio futuro. Il 43% delle donne dice di non desiderare altri figli dopo il primo: per la fatica (40%), la difficile conciliazione lavoro/famiglia (33%), la mancanza di supporto (26% ), la scarsità dei servizi (26%). 

Per sostenere la donne, in particolare le madri, a conciliare i tempi della propria vita e a evitare forme di disagio e emarginazione, a Prato c’è lo sportello comunale per le pari opportunità. «Sappiamo bene, è l’Istat a dircelo, che sono state soprattutto le donne a perdere il lavoro durante e a causa della pandemia – afferma Ilaria Santi, assessore comunale alle pari opportunità –, per questo oggi più che mai c’è bisogno di azioni mirate per rendere concreta l’uguaglianza con gli uomini». Per ovviare a questa problematica, tra i vari servizi messi in campo dal Comune c’è il Laboratorio del tempo, una iniziativa nata esattamente venti anni fa come luogo di formazione e di orientamento nel mondo del lavoro. «Tra i vari corsi proposti ci sono quelli di cucito di base e anche corsi specifici come quello sui capospalla, ai quali partecipano anche giovani under 25 – dice l’assessore Santi –, perché sono opportunità importanti di inserimento nel mercato di lavoro».

Altro importante tassello nel far conciliare lavoro e vita familiare è rappresentato dall’accesso agli asili nido. «A Prato siamo sopra gli obiettivi di Barcellona, perché il 40% dei bambini sotto i tre anni hanno la possibilità di entrare in un asilo nido, mentre il parametro europeo è del 33%. Ma non ci culliamo su questo risultato perché dobbiamo fare ancora meglio», dice ancora Ilaria Santi. Da sottolineare che da settembre 2023 tutti gli asili nido saranno gratis per le famiglie con Isee inferiore ai 35mila euro grazie alle risorse del fondo sociale europeo destinate in questo senso dalla Regione Toscana. L’Assessore assicura inoltre che «il Comune aiuterà coloro che hanno un Isee superiore ad abbattere la retta».

Margherita: undici ore al giorno fuori casa e un bambino da crescere «part time»

Un’ora ad andare e un’ora a tornare per recarsi al posto di lavoro, otto ore di turno e una di pausa. Totale: undici ore lontano da casa. Significa uscire alle 7 del mattino e riaprire la porta del proprio appartamento non prima delle 18. Se sei una donna, madre di un bambino piccolo, si tratta di un ritmo di vita non soltanto faticoso, ma anche difficile da accettare. Lo sa molto bene Margherita De Caro, 46 anni, sposata, con un figlio quattordicenne e sindacalista della Fim Cisl Firenze-Prato. «Mio marito ed io siamo originari di Salerno e siamo venuti in Toscana per lavorare, abbiamo trovato un impiego nella stessa azienda, la Laika di Tavarnelle, siamo alla catena di montaggio e quando è nato Samuele non è stato facile conciliare lavoro e maternità», racconta Margherita, madre lavoratrice. Non potendo contare sui genitori, né suoi suoceri perché vivono in Campania, la donna si è dovuta organizzare lasciando il figlio all’asilo per tutto il giorno e quando Samuele è entrato alla primaria lo ha affidato a una baby sitter che si è occupata di lui dopo la scuola fino al ritorno a casa dei genitori. «So di aver “sottratto” tanto tempo a mio figlio. Non so se il termine è giusto: “non me lo sono goduto” – racconta Margherita – e non ho potuto fare diversamente; ho pensato anche al part time, ma sono sei ore al giorno invece che otto con lo stipendio ridotto e la mia organizzazione familiare non sarebbe cambiata di molto». Questa situazione ha influito sulla possibilità di avere un secondo figlio? «Certamente – ammette la donna –, se fossi rimasta a vivere a Salerno avrei avuto più figli grazie al sostegno familiare, ma ventuno anni fa, quando sono venuta via il lavoro non c’era, non ho trovato nulla e sono stata costretta a lasciare tutto per avere una occupazione stabile. Sono alla catena di montaggio, è un impiego duro e faticoso, molto maschile, ma mi sento fortunata». Come sindacalista Margherita si occupa di problematiche di genere, sono tante le mamme che si rivolgono a lei perché non riescono a gestire lavoro e maternità. «Non è giusto, l’Italia non è un Paese a misura di mamma», aggiunge. Quale potrebbe essere una soluzione? «Trasformare i soldi in tempo – conclude la sindacalista – faccio un esempio: il premio produzione, il welfare aziendale potrebbero essere dati al lavoratore sottoforma di ferie e permessi, un’ora in meno al giorno che potrebbe essere usata per dedicare più tempo ai figli quando sono piccoli».

Veronica: «senza nonni sarebbe un bel guaio»

Veronica è stata una mamma precoce rispetto agli standard di oggi: suo figlio è nato quando lei ne aveva 23. Oggi ha superato da poco la trentina ed è sempre riuscita a conciliare il lavoro con la maternità, anche se, ammette, «senza i miei genitori non avrei saputo come fare». Lavora per Unicoop Firenze, al reparto latticini del grande punto vendita al Parco Prato, e i suoi turni sono settimanali: sette giorni dalle 6 alle 13 e i successivi dalle 14 alle 21. «Quando entro la mattina presto mio figlio, che oggi ha quasi 14 anni, dorme dai nonni, altrimenti sarebbe stato un problema, io sono separata e vivo da sola con mio figlio», racconta Veronica De Michele, iscritta alla Cisl e delegata Rsu. «Nella mia esperienza, conciliare lavoro e maternità è stato possibile, anche grazie alla disponibilità delle colleghe, pronte a cambiare il turno in caso di malattia di mio figlio», dice ancora la giovane donna. Pur lavorando nella grande distribuzione, Veronica non è obbligata a fare il turno festivo: «le domeniche sono volontarie e questa possibilità mi garantisce di poter stare in famiglia. Per me è molto importante».