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La diocesi di Massa Marittima-Piombino ha festeggiato il patrono san Cerbone

Ogni anno il 10 ottobre la diocesi di Massa Marittima-Piombino celebra il proprio patrono, san Cerbone Vescovo.

Ieri pomeriggio, alla chiesina nel golfo di Baratti, i primi vespri presieduti dal vescovo Carlo Ciattini e l’incontro con don Bruno Bignami, direttore Cei dell’Ufficio nazionale Problemi sociali e del lavoro.

Questa mattina, in cattedrale a Massa Marittima, la solenne celebrazione eucaristica presieduta da mons. Giovanni Paccosi, vescovo di San Miniato.

Di seguito il testo integrale dell’omelia.

All’inizio di questa liturgia abbiamo invocato dal Signore, attraverso il segno bellissimo dell’aspersione con l’acqua benedetta, di essere rinnovati, per la sua grazia, e tornare alla pura condizione del nostro battesimo.

La conversione infatti non è per noi cristiani il frutto di uno sforzo ascetico, di un allenamento morale, pur necessario sempre, ma l’invocazione che riaccada, ora, qui, la grazia dell’inizio, Gesù che ci rinnovi ora come il giorno del nostro battesimo.

La fede cristiana vive in questa continua memoria, in questo continuo andare all’origine, ai giorni in cui cominciò, in cui nacque la fede cristiana nella storia, cioè al Vangelo, nella richiesta che quello che accadde allora, riaccada ora qui per noi.

Parliamo di “memoriale” per dire cos’è la Celebrazione eucaristica, cioè di una memoria che rende presente, per la grazia dello Spirito, la morte e resurrezione di Gesù. Siamo qui a celebrare la Santa Messa, in questo giorno solenne di San Cerbone, nostro patrono, ed è come se tutta la distanza di tempo e di spazio tra noi, tra questo nostro tempo segnato dalla guerra, dal clima impazzito, dalle nostre circostanze personali e cittadine, e il momento in cui Gesù salì per noi sulla croce, offrendosi al Padre, per pagare lui il prezzo dei mali del mondo e di ogni uomo. Siamo noi ora, qui, sotto la croce e Gesù prende il male del nostro presente, di ognuno di noi, le nostre angustie e i nostri intenti, e li offre ora al Padre, salvandoci.

In questa logica, che nasce dalla grazia, celebriamo oggi San Cerbone. Si annulla la distanza, perché Cerbone ci indica lui, Gesù e ci rende consapevoli che il Signore si affida a persone come lui per rendere presente e visibile, nella carne ferita del presente, la vita nuova che dalla sua redenzione fluisce sempre nuova.

Tutti conosciamo i miracoli e le sofferenze di questo santo venuto da lontano, partito da quelle stesse coste della Tunisia da cui partono oggi tanti poveri migranti. Lui costretto all’esilio per la sua fede, loro spinti dal sogno di una vita migliore. Ma ognuno di noi, in qualche momento, ha dovuto fare la sua traversata verso l’ignoto, in questo mistero che è la vita.

Il Vescovo di San Miniato Cerbone però non andava all’avventura da solo: «è un amore edificato per sempre», abbiamo detto nel salmo. Portava con sé il suo tesoro più prezioso, la fede in Gesù (o sarebbe meglio dire che era portato da Lui?) e giungendo a queste belle coste di Maremma, non si sentì un povero esule, ma illuminò questa terra di una speranza nuova.

I vandali lo avevano esiliato, i goti cercarono di ucciderlo, ma lui era segno vivo di una vita diversa, più vera: accoglienza, amore, pace, ascolto, preghiera. Guardare lui era lo stesso, dopo cinque secoli, che guardare Gesù. Inviato da Lui per il compito che Gesù affida anche a noi, in questo nostro presente non meno difficile dei tempi di Cerbone: «mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l’anno di misericordia del Signore». Fu davvero «il sale della terra e la luce del mondo».

Oggi come nel sesto secolo, come duemila anni fa, rimane intatta la promessa e la sfida: che ci sia chi con semplicità, riconoscendo Cristo come la speranza della propria vita e del mondo intero, ne sia testimone, ne sia strumento di bene, di costruzione di una città della pace e dell’accoglienza, di una società in cui non prevalga l’interesse individuale, ma il rispetto e la promozione di tutti, e dalla quercia secolare della Chiesa nasca un nuovo germoglio di speranza e di vita nuova, che illumini il mondo e renda saporosa, intensa la vita di ognuno.

«Essi si chiameranno querce di giustizia, piantagione del Signore per manifestare la sua gloria», dice Isaia: che san Cerbone benedica oggi la nostra comunità diocesana di Massa Marittima-Piombino, e possiamo nella nostra piccolezza, manifestare la Sua gloria.

+ Giovanni Paccosi