Prato

La fede che porta al sacerdozio

«Entrare in profondità». È una frase che Matteo Pedrini ripete spesso, per lui questo è il compito del prete ma è anche la forza della preghiera. Domenica 23 novembre, alle 16 in cattedrale, il 33enne diacono, riceverà il Sacramento dell’ordine e diventerà sacerdote. Lo abbiamo incontrato a pochi giorni dall’inizio del ritiro spirituale che lo preparerà all’ordinazione.Originario di Gorla Maggiore, un comune della piana lombarda in provincia di Varese, Matteo è arrivato nella nostra diocesi due anni fa. Appartiene al gruppo dei Ricostruttori nella preghiera, un’associazione pubblica di fedeli nata negli anni ’70 che fonda il suo carisma sulla meditazione profonda e sul recupero di chiese e conventi abbandonati. I ricostruttori non portano abiti particolari, sono contraddistinti da una folta barba e da lunghi capelli, «che portiamo come i monaci – spiega il futuro sacerdote – è una nostra caratteristica». In Toscana i Ricostruttori sono a Lucca, Pieve Fosciana in Garfagnana e a Firenze; quest’ultima è la comunità dove vive il diacono che si divide tra il Seminario di Prato e la sede del gruppo, che si trova nella zona di via Baracca, nel capoluogo toscano.La storia di Matteo è comune a quella di tanti ragazzi che, dopo la cresima, in pieno turbamento giovanile, mettono in dubbio le verità di fede. «A diciotto anni lasciai la parrocchia, in me era preponderante la razionalità, – racconta Matteo – ero prevenuto su quanto dicevano i preti». In quel periodo di lontananza il ragazzo incontra alcuni membri dei Ricostruttori, «da loro ascoltai parole dette con un linguaggio nuovo, non mi dissero: “credi!”, ma “sperimenta”». Questo invito lo colpì molto, «ero con le spalle al muro, perché mi chiesero di provare, di toccare con mano e così provai le loro esperienze spirituali, come la “preghiera del cuore”, un momento nel quale ci si affida al silenzio», sottolinea Matteo. Per lui questo significa «entrare in profondità», e lo spiega con un esempio: «pensiamo ad un lago dalle acque agitate, non riusciamo a vedere cosa c’è nel fondo, solo con la calma possiamo vedere nella sua limpidezza, allo stesso modo un cuore e una mente in agitazione non ci permettono di vedere la realtà». Ma cosa differenzia la vostra meditazione trascendentale dalle pratiche teorizzate nelle filosofie orientali? «Il fine non è quello di divinizzare noi stessi, altrimenti vince l’egoismo, nel nostro cuore dobbiamo far posto a Cristo – spiega – con la sua croce e la sua resurrezione, la nostra limpidezza d’animo deve contribuire alla venuta del regno di Dio».Prima di entrare in Seminario e frequentare teologia, Matteo si è laureato in geologia e per qualche mese ha anche svolto la professione. Cosa c’è in comune tra un prete e un geologo? Il diacono sorride, ci pensa e poi dice: «Quando si guarda una montagna si osservano tante cose, possiamo ammirare la vetta, la neve e i sentieri, ma se sei un geologo ne apprezzi la struttura e la morfologia della roccia, una materia capace di parlare, ma solo a chi sa riconoscerla». Sembra quasi che Matteo voglia usare il suo martellino da geologo per «aprire» le persone, guardarci dentro e conoscerle in profondità. «Non basta la pacca sulla spalla, – aggiunge – anche se può far piacere, è un gesto che può essere superficiale se non si è capaci di andare oltre».Dallo scorso ottobre Matteo presta servizio, come diacono, nella parrocchia di Galcetello, è arrivato con il nuovo parroco, don Andrea Cerretelli: «Insieme stiamo iniziando a familiarizzare con la comunità, è un incarico che mi piace molto e che dovrei mantenere in questo primo anno da sacerdote», conclude.