Lettere in redazione

La pace? Un’«opera di smeriglio interiore»

Carissimo direttore, carissimi amici di «Toscana Oggi», vorrei riflettere con voi sulla partecipazione (non nuova) alla «Marcia Perugia-Assisi, per una cultura di pace». Cosa spinge a partecipare anche se le condizioni del tempo non sono favorevoli e come al solito i Tg riportano immagini banali e politicizzate? Chi ce lo fa fare? La motivazione primaria a mio avviso è derivata dal «ripudio della guerra» come soluzione ai problemi umani, indipendentemente dal credo religioso o politico. Le migliaia di persone sotto l’acqua, in cammino verso la città di San Francesco, esprimono il desiderio di fratellanza, di gioia, di amore verso tutti gli uomini, contro il conformismo, l’indifferenza e l’orgoglio di essere sempre e comunque dalla parte della ragione con le armi in pugno. Sentendo in queste ore di lutto (in Afghanistan sono morti altri due ragazzi) tanta ipocrisia in giro, mi chiedo quanto può sopportarne un cristiano, senza sentirsi coinvolto e partecipe a soluzioni senza sbocchi e senza fine? Un testimone di Marzabotto sul palco della Rocca di Assisi ha ricordato che i superstiti della strage, non se la sono sentita di far continuare l’odio e la vendetta nel dopo guerra,affermando che «la guerra, si sa quando comincia, ma non si sa quando finisce!». Noi cristiani non possiamo trovarci dalla parte di chi «non sa quando finisce». Noi siamo convinti, come hanno sapientemente scritto i nostri padri nella Costituzione, che la guerra dobbiamo ripudiarla.

Giancarlo Guivizzani Faella (Arezzo)

La ringrazio, caro Guivizzani, per la sua voglia di ragionare con noi e anche per la possibilità che ci offre di tornare sulla «Marcia Perugia-Assisi», che non è non deve essere, come lei fa capire, una passerella per i politici, ma un momento di tanti, soprattutto comuni cittadini, anche di noi cattolici, per dire il nostro «no» incondizionato e motivato alla guerra e riflettere sulla pace, che è un valore in sé. In questi giorni, con tutta «Toscana Oggi», stiamo organizzando il ricordo di Alberto Migone, il nostro direttore, a un anno dalla scomparsa. Tra le altre cose presenteremo un volume in cui abbiamo raccolto alcuni dei suoi editoriali. Uno di questi è dedicato in modo esplicito alla pace. «Educare alla pace – si legge – non è facile. Non si tratta infatti di insegnare e seguire una metodologia, anche culturalmente provveduta, ma di sviluppare progressivamente la capacità di rapportarsi agli altri indipendentemente da ciò che distingue – e quindi necessariamente oppone – cogliendo e valorizzando il più che unisce. Questo più è, laicamente, l’appartenenza alla comune famiglia umana, mentre alla luce del Vangelo è la figliolanza divina che rende fratelli, pur nella diversità. Senza questo atteggiamento, che deve poi tradursi in cultura e azione politica, è difficile rimuovere gli ostacoli che alla pace si oppongono. Gli altri saranno sempre i nemici. Questa azione educativa, a cui tutti a vario livello siamo chiamati, pone però una domanda che costringe a guardarsi dentro con verità. Possiamo essere efficaci, se noi per primi non siamo pacificati dentro? Gli autentici costruttori di pace, qualunque sia stato il loro piano di azione, lo furono proprio in quanto si impegnarono ad allontanare da sé quei sentimenti di ostilità, disprezzo e diffidenza che sono presenti in noi. È quell’opera di smeriglio interiore che costa ma costruisce, senza la quale si è solo dei parlatori di pace». La lascio, caro Guivizzani, con quest’ultima immagine, che a me piace molto, anche perché io per primo ne ho bisogno: un’«opera di smeriglio interiore».

Andrea Fagioli