Cultura & Società

La Pira e Ho Chi Minh: quell’intesa tra poeti

«Lei è un poeta» disse – nella lingua in cui si era svolto l’incontro: il francese – l’uno. «Anche lei lo è» rispose l’altro chiudendo un colloquio destinato a restare nella storia, a suggello di un’intesa che – ricorda adesso uno dei pochi testimoni, l’unico ancora in vita – «i due riuscirono a raggiungere perché entrambi furono capaci di volare alto». L’uno era Ho Chi Minh, l’altro Giorgio La Pira.

L’incontro fra i due «poeti» si era appena concluso, nel novembre 1965, ad Hanoi in un Paese flagellato da una guerra tremenda («il primo vero conflitto caldo ai tempi della guerra fredda», ricorda Lapo Pistelli, ex viceministro agli Esteri). E il testimone è Mario Primicerio: allora 25enne collaboratore di La Pira, poi sindaco (oggi in giusta fase di rivalutazione dopo giudizi spesso frettolosi), adesso presidente della Fondazione intitolata a un sindaco di cui siamo in molti ad attendere la formalizzazione ufficiale rispetto a come già viene definito da decenni: «sindaco santo».

Le lunghe, complesse, abili, non ancora del tutto chiarite vicende del famoso viaggio, a metà esatta degli anni Sessanta, del professor La Pira in Vietnam accompagnato da Mario Primicerio, sono state ricordate in una delle sale più significative, belle e musealizzate di Palazzo Vecchio (la Sala degli Elementi) a 50 anni esatti dai giorni in cui quel viaggio, sempre a Firenze, veniva preparato.

Nonostante l’afa, è stato un pomeriggio fresco: pareva d’essere su un passo dolomitico, davanti a una fonte d’acqua così trasparente che La Pira ce lo potevi vedere tutto. Novità grandi, sul piano storico, non sono scaturite né potevano scaturire. Non era questo lo scopo. Tante conferme, a partire da una sostanziale … ritrosia (fatta amichevolmente notare da Pistelli) del testimone Primicerio, comunque «stanato» da alcune considerazioni di Elsa Giunipiero docente alla Cattolica di Milano e autrice di un bell’intervento chiuso con l’augurio, del tutto condivisibile, che siano ancora possibili ulteriori ricerche storiche per una conoscenza complessiva di tutti i frammenti del viaggio.

Conferme sull’importanza non solo «profetica» ma anche «politica» del tentativo lapiriano. Conferme sul motivo del fallimento, cioè sul fatto che qualcuno («non si sa ancora chi», ha chiosato Primicerio) rese nota la vicenda. Bruciandola. E conferme sul fatto che quel tentativo, fra «poeti», di negoziare la pace nel 1965 aveva contenuti così reali che 8 anni dopo la pace vera fu negoziata proprio in base a quelle condizioni. Ma anche conferma sul dono (la riproduzione di una Madonna giottesca) portato dal credente La Pira al comunista Ho Chi Minh. E conferma sulla richiesta, avanzata da La Pira al capo vietnamita, di avere … un po’ di soldi per poter rientrare in Italia («Qui c’è tutto La Pira», ha notato Pistelli).

Un elemento particolare merita di essere sottolineato e lo si è ritrovato, come filo conduttore, nei vari interventi. Comprese le documentate parole di Mario Sica, già segretario dell’ambasciata italiana in Vietnam e poi ambasciatore, su altri due tentativi svolti in quel periodo per verificare l’esistenza di condizioni capaci di portare alla pace evitando un numero di morti e feriti ancora oggi incalcolabile (almeno per la parte vietnamita). Per approfondimenti, anche sul ruolo di Amintore Fanfani, ma anche del comunista Carlo Galluzzi, merita leggere i volumi scritti dallo stesso Sica che, in Palazzo Vecchio, si è comunque soffermato sulle «differenze» fra Giorgio e Amintore a proposito della pace: la dimensione profetica in La Pira e quella politica in Fanfani («In assoluto il miglior ministro degli Esteri», almeno nella cosiddetta «Prima Repubblica«).

Il filo conduttore, relativo ai tentativi svolti dalla nostra politica e dalla nostra diplomazia per aiutare la pace negli anni Sessanta, è quello sulla capacità di intuire la natura «nazionalista» del comunismo vietnamita. Prima di essere comunisti erano, insomma, «vietnamiti»: e su questo sia La Pira che Fanfani, certo anche grazie al ruolo di un Vaticano che con le sue Chiese sia nel Nord che nel Sud conosceva bene la realtà del Paese, giocarono carte destinate a risultare vincenti. Sia pure con il tempo.

Un filo, andrebbe aggiunto, destinato anche a rendere giustizia al grande ruolo, spesso da protagonista vero, giocato sul terreno dei rapporti internazionali dalla migliore esperienza democratico cristiana.

Intrigante l’intervento di Nguyen Hoang Long giovane (nato nel 1976) ambasciatore del Vietnam in Italia. In un italiano fluente ha raccontato come questo, da loro, sia non tanto l’anno in cui si ricordano i 40 dalla fine della guerra (1975) quanto l’anniversario dei primi 20 (1995) sui rapporti di amicizia fra il suo Paese e gli USA. «Geniale» – ha aggiunto – l’intuizione di La Pira sulla centralità di una «riconciliazione» che ha portato il Vietnam odierno a essere uno dei Paesi più innovativi. Anche con buone potenzialità nei rapporti, anche economici, con l’Italia.

Non poteva mancare Dario Nardella (dal 5 all’8 novembre Firenze vedrà un nuovo convegno fra sindaci da tutto il mondo). E bello l’invito finale di Primicerio, ai politici odierni, sul valore del «pensare»: un invito a trovare il tempo per riflettere. Invito – in un oggi dove certi problemi globali si pensa di affrontarli a suon di «ponti levatoi» alzati per stare più comodi – forse politicamente scorretto e perfino «rivoluzionario». O, forse, semplicemente (e nel senso non … visionario usato da Giorgio La Pira) «poetico».