Opinioni & Commenti

La profezia e non la politica è il «mestiere» della Chiesa

di Romanello Cantini

Il «Corriere della sera» ha scritto che la Chiesa opponendosi al rimpatrio dei rom eseguito in Francia e minacciato anche in Italia non tiene conto della volontà della maggioranza dei cittadini e della loro richiesta di sicurezza. Ci rendiamo conto che rendere unanime la simpatia verso i rom non è cosa né scontata né facile. Soprattutto quando contro di loro da tempo sono stati ammassati pregiudizi e resi universali giudizi.

Si va dalla leggenda lunga nel tempo secondo cui i rom rapirebbero i bambini (degli ebrei si diceva addirittura che li mangiavano) all’accusa del rifiuto del lavoro e della costrizione dei bambini all’accattonaggio che una volta provata per alcuni rom è stata estesa arbitrariamente a tutto il resto della popolazione secondo una generalizzazione di colpe tipico degli stereotipi razzisti. D’altra parte le soluzioni giuste non sono mai le più facili e l’accoglienza dei rom più di qualsiasi altra ha bisogno di quella integrazione che va dall’abitazione alla scolarizzazione e che proprio negli ultimi tempi è stata fortemente ridotta se non ignorata.

La presa in considerazione e la ricerca del consenso è un compito di un partito, anche, se si vuole, di un partito di ispirazione cristiana, nei limiti in cui la ricerca del potere non entra in lotta di collisione con i suoi principi. Ma per la Chiesa è la profezia e non la politica ad essere prioritaria. La prima è in un certo senso il suo mestiere, la seconda al limite può essere una sua supplenza. E l’esercizio della profezia deve essere per la Chiesa obbligatorio quando si tocca la persona nella sua dignità e si espropriano i suoi diritti fondamentali. Ora un’espulsione di una persona non è mai un viaggio premio anche quando si cerca di farlo passare come tale. In passato, quando l’esilio era ancora una pena a disposizione dei tribunali, era considerato una pena appena inferiore alla condanna capitale di cui non a caso era spesso la commutazione non appena si voleva esibire un briciolo di clemenza.

E nella difesa dei diritti umani non c’è considerazione politica che possa diventare prevalente. Soprattutto non c’è per i ministri di Dio che sanno che l’uomo è il fratello in Cristo. Anche a Luther King, quando lottava per i diritti dei neri, fu fatto notare che quel problema non era nell’agenda della maggioranza degli americani. Addirittura furono nove pastori bianchi a fargli quella obiezione in una lettera aperta e a dirgli di portare pazienza finché l’America non avesse cambiato opinione. In maniera subdola anche in quel caso la legge della democrazia diventava motivo per negare i diritti umani. King rispose con una frase impeccabile per il cristiano e per il prete per il quale l’amore per i neri voleva dire amore di Dio: «Uno solo, quando è con Dio, fa maggioranza».

Don Milani che, come è noto, non disdegnava il linguaggio plebeo quando si trattava di farsi capire fuori dai denti, fu, su questo argomento della popolarità ricercata ad ogni costo compreso quello del tradimento, ancora più crudo. «Star sui coglioni a tutti come lo sono stati i profeti» questo era per lui il compito del prete contro coloro che «sono riusciti a farsi (a differenza di me) volere bene da tutti». Così in fondo dovrebbe essere il prete. Così dovrebbe essere il vescovo. Anche se oggi il prete o il vescovo piacione, come direbbero a Roma, va in genere più di moda di quello che osa alzare un dito ed anche per questo può stupire quando lo fa.