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La storia di Issa, da Betlemme a Rondine e ritorno
Il giovane palestinese dopo un’importante esperienza di studio in Toscana ha deciso di tornare a casa. E di farlo non solo per sé, ma per il bene di una comunità che cerca ogni giorno di sopravvivere e di sperare. Lo abbiamo incontrato a Betlemme

Raccontare oggi la vita quotidiana a Betlemme significa raccontare una sfida. Una sfida che si consuma tra muri, checkpoint, assenza di diritti basilari e il peso costante dell’instabilità. Ma è anche il racconto di chi, nonostante tutto, sceglie di restare. È il caso di Issa, giovane palestinese, cresciuto nella città dov’è nato Gesù, che dopo un’importante esperienza di studio in Toscana ha deciso di tornare a casa. E di farlo non solo per sé, ma per il bene di una comunità che cerca ogni giorno di sopravvivere e di sperare. Lo abbiamo incontrato in occasione del viaggio dei vescovi toscani in Terra Santa durante la visita al Centro di Azione cattolica a Betlemme.
«Sono nato e cresciuto a Betlemme – racconta – ho studiato alla Terra Santa School e poi all’Università di Betlemme, un’università cattolica che ha rappresentato molto per la mia formazione. Ma il passaggio decisivo per me è stato l’incontro con Rondine, Cittadella della pace».
Per due anni, Issa ha vissuto in Toscana, nel borgo che da oltre vent’anni accoglie giovani provenienti da Paesi in conflitto e li forma alla cultura del dialogo e della trasformazione creativa del conflitto. A Rondine ha concluso un percorso di alta formazione che lo ha portato anche a laurearsi con un master in relazioni istituzionali e comunicazione d’impresa all’Università Lumsa (Luiss).
«Alla fine del percorso italiano ho dovuto prendere una delle decisioni più difficili della mia vita: tornare in Palestina. Ma ho sentito che era giusto, che era necessario».
Una scelta controcorrente, come lui stesso ammette.
Perché «chi esce da questo contesto, anche solo per pochi anni, fa fatica a tornare. Perché vivere in Palestina significa affrontare ogni giorno ostacoli che altrove sono inimmaginabili: la mancanza d’acqua, la libertà di movimento limitata, l’umiliazione dei checkpoint».
Oggi Issa lavora come project manager per una Ong italiana, sostenendo le cooperative palestinesi e aiutandole a crescere in termini di gestione e accesso al mercato. Un lavoro concreto, quotidiano, che guarda al futuro con pragmatismo ma anche con fede.
«Alla Terra Santa School ci insegnano ad amare questa terra – dice – non solo perché è la nostra patria, ma perché è il luogo dov’è nato e vissuto Gesù. Noi cristiani che viviamo qui siamo una piccola minoranza, ma con una grande responsabilità: mantenere viva la fede nel luogo in cui è nata».
Per questo, spiega Issa, la presenza cristiana in Palestina è qualcosa di più di una testimonianza: è una missione.
«Se noi ce ne andiamo, questi luoghi diventano musei. Ma la Terra Santa non può essere solo un luogo da visitare. Deve restare una terra viva, abitata da comunità che pregano, lavorano, resistono. È una responsabilità che non ricade solo su di noi, cristiani locali: è una chiamata per tutti i cristiani del mondo, che devono sostenere chi qui continua a vivere la fede là dove tutto è cominciato».
Mentre parla, Issa non nasconde né la fatica né la fierezza. La sua storia è un invito a non cedere alla rassegnazione, a guardare la Terra Santa non solo con gli occhi del pellegrino, ma con quelli del fratello che abita accanto, che resta perché crede che il cambiamento, se verrà, comincerà da gesti piccoli e radicali. Come scegliere di tornare. Come scegliere di restare.